I sentimenti, le rose (le stesse che riagganciano il lavoro precedente, l’ottimo
Roses are Black), l’amore o come canta lo stesso
Austin Collins nella meravigliosa
Just the Same: “
A rose by any other name is just a flower in the rain. She was born to hold your dreams back by strain”, sono anche gli argomenti preferiti di questo terzo disco,
Wrong Control, e sempre in compagnia dei
Rainbirds (Craig Bagby e Dylan McDougall).
Siamo lontani dal periodo alt country del 2005 con l’esordio di
Something Better, il suono è più rock, un americana-rock con batteria e chitarra più incisivi di quanto si potesse immaginare, brani ‘radio-friendly’ ma nel senso positivo del termine perché le 10 tracce di
Wrong Control sono oneste, ruvide e melodiche, parlano di relazione di coppia, dove si vince e si perde, ma senza le lacrime del country di qualche anno addietro, per intenderci, di quelle che affondano in un boccale di birra.
Austin Collins stavolta la malinconia l’avvolge col rock, nulla di monotono, come le storie su cui si sofferma la sua penna, parlano della capacità di saper reinventare le emozioni davanti a fratture capaci di scalfirne la speranza.
Così i confini musicali tra rock e americana dalla briosa
Conventional Lust in poi si ingrandiscono per lasciare spazio ad Austin di superarne i limiti, dalle ballads elettriche di
Care,
Centerpiece e la stessa title-track alla brusca dolce-verità di
Head Down, in cui il guardarsi troppo da vicino è come non guardare, è come sapere solo ciò che non vogliamo, ‘
Never coming back’ cantano Austin e i Rainbirds e si va avanti con quel retro-gusto pop e riff seventy style in
Forever Avenue e le metafore di una solida e allettante
The Island, insomma subentrano paesaggi sonori più vasti, indeterminati e transitori ma questo talentuoso songwriter (ultimamente un premio Airplay Direct’s 2009 All Things Americana award) riesce con questo fiume di suoni a cambiare il punto di vista dell’ascoltatore amante delle sue prime sonorità country a cui
Austin Collins resta sempre fedele, basta ascoltarlo in una recente intervista: ”
My favorite song to do is “Return of The Grevious Angel” by Gram Parsons”.
La qualità c’è, splendide in chiusura
Frailer Ground e
Worn, la rotta è quella giusta, anche senza il country.