MIKE MANCY (Blue Sky)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  01/04/2010
    

L’indipendente Mike Mancy da quando si è definitivamente trasferito a Fort Worth ha dato una svolta alla sua musica, ve lo ricordate l’ottimo esordio di Uneven Ground? Ebbene se fosse rimasto nel luogo delle grandi oppurtunità (Los Angeles), il sogno americano non lo avrebbe trovato nella periferia texana (tornandosene a casa, è cresciuto a Houston), luogo dove la possibilità che i sogni musicali si avverino è direttamente proporzionale alla grandezza del paesaggio. Altro che uffici, negozi (tutti pulitissimi, tutti immersi in un turbinio di uomini e giacca e cravatta e donne in completini stucchevoli) se ne è tornato a solcare i palchi e le strade del Lone Star State in un lunghissimo tour trovando solo nel gennaio di quest’anno con la produzione di Roger Ray (chitarra dei Jason Boland & The Stragglers) la tranquillità di uno studio di registrazione per incidere il nuovo disco, Blue Sky.
Molti ospiti, un giro fitto di chitarristi (Rodney Pyett, Randy Gray, Kenny Uptain) e amici da Jason Eady a Doug Moreland, al David Perez dei bravissimi Tejas Brothers, un disco di rock e ballate con un pizzico del classico tocco ruspante e alcolico alla texana, un disco su due piani che si incontrano con efficacia. Mischia la slide alla telecaster, da Maybe It's Me a Blame It On Me, malinconia e brani solari anche se scivolano su temi già ampiamente frequentati sono in sintonia con lo spirito della Mike Mancy Band, vanno dritto al sodo con una slow-ballad immersa nella mestizia del country, ovvero la splendida The Day That You Left e senza tracciare parabole esistenziali-ideologiche restano in circolo solo amore e melodia, ma il disco decolla via via, i risultati ripagano e sono all’altezza delle intenzioni, altro rock in punta di piedi nella deliziosa perla di Too Far Away e così le storie di Blue Sky acquistano spessore a poco a poco.
Fisionomia tratteggiata attraverso un collage di chitarre e dichiarazioni d’intenti che mettono a fuoco l’ordinarietà di pensiero, splendida la title-track, anche quando sembra che ci sia poco da dire -altro rock godereccio per Nothing To Say-, con la lap steel che si sente di meno, in Ghost e I Got It Made più rootsy e acustiche e nella meravigliosa I Like Beer, puro texas-mexican pensiero, fisa, sole e naturalmente birra perché e la meno cara… e via al festino che si completa nel finale della brillante malinconia della slide di Alone. L’aria del Texas riempie il finale di Blu Sky e la Mike Mancy Band i cuori di noi Texani.