17 anni di carriera nel mercato discografico a respirare blues e rock n’ roll,
Mike Onesko dopo sette dischi ha pensato che la
Blindside Blues Band meritasse un 2010 senzo respiro, con altri due lavori in arrivo oltre a
Raised on Rock, come se non bastassero questi 74 minuti di puro granito, talmente potente che il blues diventa solo una congettura, una scritta sulla copertina del disco, perché si sceglie un heavy-guitar rock targato anni ’70 cupo e violento, con poche congetture e tante, ma tante, chitarre, le muse ispiratrici di Mike, suonate da Scott Johnson alla seconda chitarra e il basso di Emery Ceo.
Inizia col botto il nuovo disco della BBB, jammando appena la manopola dello radio -che continua ad andare a destra e a sinistra, da una stazioncina all’altra-, trova pace e le note della splendida
Raised on rock diffondono pura adrenalina, ma a bordo del
Night Train, la voce innaffiata di whiskey è capace di mangiarsi anche il mito di Cash con una versione di
Folsom Prison Blues ‘molto particolare’ (imbarazzante solo per coloro che la amano!).
Tante parti oscure solcano il disco, dallo strombazzare di una fin troppo muscolare
Wave On, l’hard heavy rock surclassa il blues (che resta in circolo, ma fatica a trovare un’anima!) così l’azione tende a ristagnare, una tessitura che si smaglia, tanto che canzoni come la tenebrosa bellezza di
Child of the Sun e di
Backstreet Rider sembrano dei vistosi grumi di rattoppo, ma queste ciambelle di salvataggio (meravigliosa l’accoppiata finale di 15 minuti di
Born With The Blues + la ghost track strumentale) lanciate in mezzo a questa fitta serie di suoni lasciano respirare
Raised on Rock.
Capisco la nervosissima
War In The Streets, la disamina di un mondo e delle persone che lo vivono, per poterle cambiare ci vuole la ‘guerra’ capace di renderle migliori anche se non si sa per quanto (meno spiegabile del perchè per diventare un uomo ci sia ancora bisogno della guerra!) a parte queste considerazioni da
Take You Down a
Love Is Worth The Blues, alla
World on Fire benedetta da Hendrix, alla cupissima strumentale di
Bury The Axe, si resta sul campo a far ‘battaglia’ troppo a lungo, tanto da renderle un tantino indigeste, se non inconsumabili.
Tagliole di ‘violenza sonora’ troppo estranee alla natura bluesy della amata
Blindiside Blues Band.