KEVIN DEAL (Seven)
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  Recensione del  01/03/2010


    
Emblema del mercato indipendente texano, Kevin Deal ha scelto di restare dalla parte di chi se ne infischia delle luci della ribalta e dei soldi, ma senza per questo rinunciare ai sogni, con la lucida scelta di un suono ruspante ha saputo individuare nel corso di 6 album il crepuscolo della vita e della fantasia, la maschera scura e grottesca del quotidiano, il germe colorato della vita tra roots e whiskey ai confine del Messico.
Al settimo album, intitolato semplicemente Seven, il cantastorie texano ci regala un ulteriore serie di pensieri d’amore e ricordi di giovinezza ma prima che il piacere del nostro immaginario si addentri tra i paesaggi polverosi e soleggiati del lontano Lone Star State, la fredda e funerea cromia della splendida 200 Cops e di Behind the Shield ci conducono dentro la realtà degli USA, nelle sue tante facciate, dalla legge di poliziotti assassini immersa in una ruvida e cupa ballata da una parte, o seguendone la vita dietro il distintivo nella malinconia tracciata dalla slide, chiudendo con il tocco bluesy della roboante The King Has No Clothes, ovvero la politica corrente vista dalla parte di molti americani lettori di giornali e telespettatori che hanno difficoltà a farsi coinvolgere.
I set elettro-acustici seguiti da vicini dall’immancabile Lloyd Maines (al dobro, alla chitarra elettrica e alla pedal steel) si concentrano sulle sfaccettature di un amore sofferente e il tocco country-texano sale in cattedra: una perla rootsy è Cactus Flower tra armonica e telecaster ma poi una serie di ghiotte ballatone, dai trabocchetti della dolcissima Hollywood Kiss, alla slide che scende sul sistema disfunzionante losangelino -stranamente e tragicamente coerente alle due facce della città, luccicante e spietata, alla struggente Guard My Heart fino alla luccicante armonia agreste di If You Hurt The Ones You Love.
Seven nell’ultima parte concede spazio ai ricordi, alla passeggiata insieme ai vecchi amici pensando alla giovinezza perduta con l’incantevole 20 Year Old Trucks, alla brillante rilettura del Graduation Day, lasciando solo nel finale quella sottile linea malinconica, adatta ad avvolgere -col suo ritmo lento a cui ci può abbandonare- la meravigliosa gemma acustica di Working Man #7 ovvero tutto il duro lavoro, il sudore, il ‘sangue’ che questo bravissimo cantautore ha versato nel corso degli anni per regalarci dei dischi, uno più bello dell’altro, come Seven.