I
The Ten-Toed Frogs sono sempre al fianco di
Dave McCann anche se non compaiono nel titolo del disco, hanno cambiato nome, oggi si fanno chiamare
The Firehearts (“
too much of a tongue-twister for drunken people who wandered up to me in bars” così McCann motiva la scelta) ma la line-up (Dave Bauer alla chitarra, il multi-strumentista Pete Loughlin al basso, Tim Williams alla batteria e la pedal steel tirata a lucido di Charlie Hase) è la stessa dei primi splendidi dischi -
Woodland Tea del 2000 e
Country Medicine del 2004- di questo bravissimo cantautore canadese che torna dopo il live del 2008,
Shoot the Horse, ad incidere un disco di studio sotto la supervisione del produttore di Nashville Will Kimbrough.
DixieBlueBird riprende le strade e storie dei suoi esordi sebbene siano trascorsi 5 lunghi anni che lo hanno visto trasferirsi a Lethbridge, prendere moglie e celebrare il compleanno del figlio mentre con la sua band viaggiava verso gli studi di una Nashville vista con occhio critico, ma che alla fine ha regalato un signor disco con lo stesso vigore elettrico e con la stessa cura delle melodie, parentesi elettro-acustiche baciate dall’americana che come in passato aprono il nuovo disco: l’incantevole
Unfamiliar Ground non tradisce la capacità di McCann di saper restituire in musica una ricerca della dignità al quotidiano, viene omessa la felicità perché attraverso la sua rappresentazione vengono oltreggiati la sofferenza e il dolore, vitali per uscire dall’oscurità, una scelta stilistica che come sempre confeziona con un mix di tonalità malinconiche ed elettriche, splendide sia
Bloodpines che
Road To Cain, la strada che serve ad espiare i peccati e su cui gira anche la ruvida
Darkest For The Dawn col tocco agreste in più in
Fireheart.
I contorni country restano ai margini ma la slide di
Broken Bugs che costeggia le highways percorse da Dave McCann e dai Firehearts si immergono in colori lividi che li fanno somigliare a quadri di paesaggi anni ’70 a cui si deve poi guardare solo per nostalgia, la ricerca di se stessi simboleggiata dalla fascinosa lenta melodia di
Standing In The River, più rootsy come la dolcissima
Slow Train Home o nella title-track, un disco insomma pienamente umanista che si concentra e trova linfa vitale nella strada e nei loro personaggi, nei loro continui ripensamenti sul passato e l’incerto futuro, passioni che non speculano sui sentimenti da
Tuscaloosa Blues al nostalgico country-swing della godibilissima
Inferno. DixieBlueBird è un disco immediato, semplice, tanto da risultare sorprendentemente impeccabile. Gran bel disco!