PLAINSMEN (What Started The Fire)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  01/03/2010
    

Dal Kansas al Texas, i Plainsmen si ritrovano uniti da due strutture che poi si riscoprono imparentate: da una parte la deformazione surreale e sentimentale della presunta bella vita di città e dall’altra il sovvertimento di questa realtà per opera di una sana voglia di vita semplice, nella spensierata ma faticosa provincia, il tutto condito da rock e roots che li hanno portati prima in Oklahoma, tappa a Wann, prima di inoltrarsi nella polverosa provincia texana. Suono solido ma melodico come si avverte dalle prime batture di Circles Alive e Laughin' at the Past, i The Plainsmen registrano un disco appassionato, ‘imperfetto’ ma che possiede senza dubbio qualcosa di diverso se confrontato alla media degli esordi laccati, piccoli, ombelicali di molte band che decidono di varcare i confini texani: esempio è la splendida The Farm, lap steel, una storia di ritorni, strade, amori e ritorni, riff malinconici verso un pensiero che non coincide con la piatta uguaglianza dell’immaginario globale.
La parte centrale di What Started The Fire non si contraddistingue certo per originalità ma attraverso piccoli episodi, una quotidianità spicciola, dettagli che possono sembrare insignificanti anche senza grossi scossoni assestano passaggi riflessivi elettro-acustici che si lasciano ascoltare con piacere e senza cadute di tono da In the Middle a Lonely Town alle luminose chitarre di Katy Come Around fino ad impennarsi con Eagle, che segna un cambio di marcia per un finale da incorniciare dove trovano un barlume di originalità è costruiscono quadretti rootsy da benedire, come il roots-blues di Sandcastle Blues o la conclusiva scioltezza di Keeper of the Plains.
Il Mike McClure della splendida Shores e soprattutto all’incantevole Baby Let Me Wonder dove si tagliano in corsa i tornanti della bellezza e senza perdere aderenza al terreno costruiscono un inno alla vita (dipende sempre dai punti di vista), all’amore, ma soprattutto alla giovinezza. Finale agitato e mescolato, restano profumi di Texas e belle canzoni. Cos’altro pretendere dai The Plainsmen?