Hank Williams e l’alternative country da una taverna avvolta dall’oscurità ma illuminata dai santini del country, seduto nella penombra c’è
Joe Swank col suo cd scritto, prodotto e registrato con una decina di anni di ritardo -sia verso il movimento alternative, sia verso la sua band dei
The Zen Pirates (tre giri a vuoto datati 2001, 2004 e 2006)-
Hank Williams Died for my Sins. La storia di questo canadese che lavora attualmente per la Bloodshot Records come promotore e tour press, rigira da un ventennio intorno alle radio commerciali ma non solo, si aggiungono un lustro da giornalista e varie digressioni come intrattenitore, produttore e direttore.
Insomma incidere questo disco non rappresentava tanto la novità, quanto i trascorsi come cow-punk band leader e le storie intorno ad Hank Williams della title-track: un brano in doppia versione, e non poteva che avere una gestazione particolare: risale al periodo in cui Swank lavorava in una specie di copisteria – metà anni ’90, durante una innocente discussione filosofico-teologica con uno pseudo scrittore alla ricerca di una guida spirituale, una rivista, un paio di foto e racconti entrano prepotentemente nelle file del discorso, restandogli talmente impresse da sognarsele la notte seguente. L’indomani sul posto di lavoro la folgorazione: “
If I have to have a savior, mine is Hank Williams."
Il suo ‘salvatore’ insieme al country non rappresentavano molto i suoi gusti musicali, ma una volta sulla strada per il North Carolina è diventata una canzone e poi un disco che aveva in testa da un decennio. L’intro lo vede accanto al piano, voce cavernosa, impastata di alcohol e fumo, notturna e malinconica, ripresa più avanti con l’aggiunta delle chitarre, dell’elettrico, dove il country si mischia ad uno slow rock che permette al brano di spiccare il volo verso l’anima del povero Hank che paga per una vita trascorsa nel peccato (suo e nostro) ma prima di giungere al capolinea, lo sguardo si volge indietro con la consapevolezza di un bilancio “negativo”, povero e desolante.
Ma brani di qualità in questa mezz’oretta ce ne sono parecchi, dalla trascinante
Fool for you, alla slide fumosa di
Same ol feelin che tuona nella splendida
Just tell her I loved her, tra queste donne pulite e pure, gli uomini si rovinano con le loro mani a causa di un eccesso d’amore, altra pregevole rootsata è
Wait until i get my hands on you mentre il sentimento va mischiandosi al clima festaiolo delle dance hall texana, tra balli, boots e whiskey in un’accoppiata godereccia,
Tomorrows just a train wreck away e
Sittin here drinkin a beer.
Hank Williams Died for my Sins è un disco breve ma racchiude in chiusura la sintesi del country, la ballata di
Better than bein alone, e del rock pieno di chitarre e solidissimo come in
Strutter. Tra la provincia e i contrasti radicali della metropoli, la poetica alternativa di
Joe Swank & The Zen Pirates.