MARK MONACO (Overdrive)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  01/03/2010
    

Appena ventenne sforna American Highway e parte il tira e molla tra la critica di Nashville e il Texas, ma Mark Monaco sa cosa vuole dalla sua musica (scrive, suona, produce) aggiungendovi una visione ‘epica’ della vita: ciò che si riesce ad ottenere muta al variare delle condizioni di partenza, inevitabilmente, e ciò che conta è lo sforzo, il sacrificio, quale unica e autentica ‘lotta’ per sopravvivere nel mercato discografico indipendente. Ne discende una sana e faticosa ricerca di un equilibrio tra il country, il mainstream e il rock del Sud del Lone Star State, Alternate Frequency nel 2005 ci va vicino (ed infatti il disco è piacevole!) ma solo con Overdrive il cantautore texano centra il dosaggio: “My writing is better, the band I have behind me is the best, and people that overlooked us in the past are starting to take notice. And I’m ready for the next stage.”
Il lato genuino resta, meno country rispetto al primo periodo, ma più rozzo, pastoso, tanto che quando si sale a bordo di Overdrive si viene lanciati sgommando a tutta birra sulle strade per il Messico, nervosissima The End of the Highway, tanto da sollevare i cumuli di polvere con massiccie dosi di riff. Ma poi c’è il lato mainstream, quello patinato di First Time Again che non ha nulla del country degli esordi, un brano che appare spuntato di quella originalità che rischia di compromettere Overdrive in pochi minuti, per una scelta che se valutata rispetto ai due dischi precedenti, per un verso è conforme al new country radiofonico ma per l'altro costituisce la causa della riuscita solo parziale del progetto.
Ma Mark Monaco gioca bene la terza carta, il roots di casa, parte con una ballata come Wild In Texas, armonica e melodia molto accattivante e gli affianca piano piano le schitarrate alcoliche dalla ruvida Drinkin' For Two al furoreggiare di Cowboy Rock, strizzando l’occhio al mainstream si muove su questa alternanza per il resto di Overdrive: bene con la piacevole Love's Catching Up On Me, la ficcante Dangerous e la gradevolissima Shine, un po’ meno Never Let You Down e le versioni (Radio Edit) in chiusura che lasciano intendere che la confezione sia debitamente patinata. Superato il fastidio per la furbizia commerciale, si poteva, legittimamente, sperare in qualcos’altro.