JUBAL LEE YOUNG (The Last Free Place in America)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  01/03/2010
    

Terzo album per il sempre più sconosciuto Jubal Lee Young, vita turbolenta e amore per la bottiglia con cui ha condiviso un ventennio, lo stesso periodo trascorso in una radio. Sempre in lotta con tutti, distillati rabbiosi che ha riversato in note cercando di descrivere quella dimensione enigmatica e profonda, dai confini mai definiti che lo contraddistinguono (sentire Animal Farm!). The Last Free Place in America, un titolo che prende spunto dalla biografia Ramblin’ Man: The Life and Times of Woody Guthrie del 2004, lascia alla meravigliosa title-track lo spazio per analizzarne alcuni di quei passaggi, al manicomio come ‘scelta’ di un luogo ideale dove accogliere quel perduto ‘girovagare’, Jubal Lee Young entra ed esce da spirali vertiginose di diversità, irrazionalità che si avvita negli estremi più pericolosi di una società che sa come ‘curare’.
Sentimenti viscerali, americana, roots e rock dominano le sue canzoni, alcune delle quali risalgono al disco d’esordio, come Uh, Let’s Go! scritta dopo la scomparsa di un amico amante di R.W. Hubbard, armonica fiammeggiante, melodie avvincenti con l’umore ballerino, che diventa più scuro nella splendida Justice or Death o in pieno estasi nella spensierata ironia della ’pomposa’ Boom Boom Boom, solo divertimento e un pizzico di blues.
Spazio alla dolcezza con Bloom, Lily, Bloom e Falling For You, da preferire a Whatever You Do o al pop di One and One Is One (troppo monocorde) ma l’idillio dura poco, la sferzante cupezza di Dead Miners fatta di infiniti problemi da risolvere, di mancanza di tempo e di sonno, di stanchezza fisica e mentale, scuote e rischiare le idee, quelle di Jubal Lee Young a sentire I Refuse, altra perla rootsy ma di tutt’altra pasta, solare con tutti quei violini e lap-steel country, perfetti per descrivere i giochi sarcastici di una storia semi-autobiografica.
Una nuova pelle per Jubal Lee Young e sembra sentirsi a proprio agio nell’incarnazione di un fuorilegge selvaggio e senza fissa dimora, e non poteva scegliere cover migliore, Piece of Wood and Steel di Richard Dobson.