Cresciuto tra Indianapolis e Chicago, primo disco nel 1998 con i
The Forecasters (Too Damn Cold) ma il connubio dura poco,
Will Scott riflette sulla sua musica e sullo slancio di trovare una propria identità artistica così incide il primo disco solista,
Solo Electric Blues, che incuriosisce il discografico Losangelino Ben Vaughn lanciandolo nella scena NewYorchese nel 2002, dove tuttora vive e dove ha scritto questo nuovo disco,
Gnawbone.
Bella voce, si adatta a meraviglia al folk-blues che si bagna nelle acque del Mississippi, un pizzico di country e sotto la guida del ‘pastore’ Christopher Watkins alla vecchia maniera, oltre gli steccati della routine abitudinaria, aiuta
Will Scott ad innescare una serie di ballate di spessore colme anche di sarcasmo, dove non risparmia niente e nessuno, a partire dalla splendida
Jack’s Defeat Creek. Nel sud dell’Indiana prende l’ispirazione, l’altra città fonte di racconti è la stessa title-track, altro brano eccelso tra delta blues e uno scurissimo americana-soul aiutato da una voce che scava tra rabbia e amore.
Chitarre che stridono in
Make Her Love Me, le situazioni si confondono come i suoni, passo selvaggio e spirito da fuorilegge elettrico da una parte, canzoni riflessive, di impegno, ma anche di introspezione acustica dall’altra,
Lazy summertime è una piccola perla, di quelle che si intrufolano e ribaltano tutto con l’amore o con il dolore come nel caso dell’incantevole folk-roots di
Stain Lifter).
Una apertura centrale distensiva che continua con la luminosa
Country Soil e la ballatona piena di pathos, piano e mandolino di
Louisiana lullaby ma poi eccoti un balzo finale nel soul, pop e R&B, un mix abbastanza complesso e freddo, che scorre più per lavoro di testa che non per vera intuizione inventiva da
Sarah,
Paper Match,
Mother May I, la straniante
Long Time Since e la conclusiva
Amen Corner. L’impalcatura di
Gnawbone crolla anche perché
Will Scott ballonzola fra varietà di suoni, finendo per appiattire e deludere i buoni propositi della prima parte.