PHIL PRITCHETT (Mark Of The Human Hand)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  03/02/2010
    

Il ‘petty’ texano è l’incarnazione dello spirito americano. Phil Pritchett è uno di quegli artisti che si muove nel mercato indipendente con intelligenza e in completa solitudine, suona quasi tutti i giorni portando in giro il suo rock non solo muscolare, direi audace per il modo con cui tiene a galla il sound di passati decenni, e come l’intenso piacere di Mona Lisa Move Closer, Pritchett si guadagna un meritato ‘rispetto’ come quest’ultimo Mark of the Human Hand, il nuovo disco che si lascerà amare come tutti gli altri da quei ‘pochi’ ma fedeli e affezionati sostenitori.
Phil Pritchett poi si trova bene nel South Texas, gli piace il country che riempe quelle piccole città di provincia, con le sue file di case ordinate, con quegli spicchi di verde immacolati, su di cui la malinconia della splendida lentezza elettrica di Soup’s Up si adagia lentamente, finestre dalle quali si diffondono storie di vita e protagonisti descritti con cura in una gran bella ballata elettrica come The Great John West, e si permette di riversare in note sensazioni e amore che ne caratterizzano la sua discografia.
Usa il folk&roots per raccontare i sussulti morali che squarciano il velo di chiacchiere sul conto del protagonista, in rotta tra l’oklahoma, Texas e Messico, e quì il songwriting di Phil Pritchett affiora in superficie in tutta la sua purezza, 8 minuti molto intensi con un finale chitarristico come ciliegina finale che continua nella meravigliosa rock ballad di I Will Get To You, e i meccanismi dell’amore entrano a far parte del disco, con quel bisogno di preservare qualcosa, rivangando gli stessi passi, gli stessi gesti, gli stessi incontri agli stessi angoli, che ci consentono di viverne il futuro.
A proposito di ricordi, l’immagine dell’amore allora si allarga ed abbraccia la famiglia, con la sensuale No One Loves You Like Your Mother Does, essenzialmente elettro-acustica e solo il ricordo può scandire con tanta precisione i passaggi fondamentali della vita, tra giochi di chitarra ammalianti che riempiono e sottolineano quel tempo trascorso riempiendolo di significato, diventando riflessivo nel momento della descrizione del rapporto di coppia nell’acustica leggiadria di Tell Me What I'm Doing Wrong, ripiegata su se stessa, ma comunque affettuosa.
Torna a far gracchiare le corde con l’avvolgente lirismo di Everybody's Tryin' e si rimette in viaggio con Road Ahead Miles Behind, altra ballad tra rock, anni settanta e roots, dannatamente coinvolgente come i dischi di questo bravissimo storyteller, che in coda piazza un’altra ballata riflessiva History Is Never Made In A Straight Line. Phil Pritchett sembra decisamente intenzionato a continuare a bazzicare i territori indipendenti alla faccia della musica patinata ed appariscente. Una gran fortuna per chi ama la sua musica!