JOSH GRIDER TRIO (Sweet Road To Ride )
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  Recensione del  02/02/2010
    

Sweet Road to Ride rappresenta l’evoluzione musicale di Josh Grider quella che farà storcere il naso ai puristi del texas country innamorati dei suoi primi dischi, ma il ‘trio’ figlio di Austin (Chris Grady, basso e Jeff Botta, batteria) oramai ha cambiato rotta verso la Red Dirt Music ma senza fermarsi, alla ricerca di una nuova identità non facilmente individuabile, a questo proposito le parole dello stesso Josh: “Everybody knows who Merle Haggard is, everybody knows who Dave Matthews is, so if you say we meet in the middle, that’s kind of what’s goin’ on. It’s got the boogie in it”.
Il songwriter ‘texano’ aveva dato in pasto al suo pubblico un’anticipazione con un Ep spiazzante per l’uso di funk e jazz, ma Sweet Road to Ride è più coinvolgente di quanto potesse premettere quel paio di brani, e poi si sa che il rosso dell’Oklahoma sfoca facilmente! The Josh Grider Trio mette sul ‘piatto’ il desiderio di una vita on the road in contrasto con la necessità e il desiderio di una famiglia, dell’amore e di quel senso di casa che lo aggancia al suo precedente disco Million Miles To Go.
Infatti torna Walt Wilkins a fargli compagnia nella stesura delle canzoni, come nell’iniziale dolcezza elettrico-acustica di Here With Me, dove Josh canta “My Heart is for two things, my family and my music. The Road divides it” la penna di Sweet Road to Ride è intenta a raccontare la vita normale, ci guida perentoriamente all’interno di essa, tra station-wagon, cani, figli piccoli e mogli non cotonate per fortuna, altrimenti giustificherebbero il desiderio di strada e il lento girovagare tra Texas e Tennessee che può portare anche a brutte sorprese, While You Were Sleeping sembra un brutto flash, di quelli da dopo sbronza quando tutto sembra essere così lontano dalla normalità, tutto ribaltato, rivoltato, come la musica di Josh Grider.
Country che sembra così lontano, ma questa serie di folk-rock-pop hanno una propria identità seppur l’uso del coro entra troppo spesso in azione, resta la splendida incursione nell’americana di Great Divide, ancora strada da una parte e amore dall’altra, e non sono i facili cliché (che vede comunque da lontano) a colpire l’ascoltatore, ma l’emozionale solitudine da songwriter di brani come Sunburn, la freschezza compositiva di Over My Head, il retro blues della splendida Love Went Wrong, dalla parte di Waits. Meno quando il suono ‘funkeggia’ Sometimes o il tocco (folk-reggae?) di Halfway There, tuttavia la carne messa a fuoco sembra davvero troppo e lo slancio passionale di brani più elettrici, They Ain't Found Us Yet e la struggente accoppiata finale di Again e Watch Me Now, rischiano di non reggere al peso eccessivo.