JIM LAUDERDALE (Could We Get Any Closer)
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  Recensione del  02/02/2010
    

Difficile capire questa apertura al Bluegrass degli ultimi anni di Jim Lauderdale, ma affianco agli ultimi convincenti dischi ci si può aggiungere anche quest’ultimo Could We Get Any Closer, il suo ‘newgrass’ infarcito dallo spirito dell’honky tonk si incastra sempre a meraviglia tra le varie storie di Could We Get Any Closer e scorre in modo abbastanza fluido, anche se c’è ben poco di nuovo per un disco di buona qualità, piuttosto ordinario, ma con qualche guizzo d’inventiva assestato al momento giusto.
Un progetto a largo raggio che racchiude molti songwriters del circondario di Nashville (ne ha scritte solo 6 delle 12 canzoni complessive), a tratti scoppiettante per il banjo di Scott Vestal che corre a tutta birra sin da I Took a Liking to You, a cui si aggiungono mandolini e violini tirati a lucido in All She Wrote, fino allo splendido western-country-roots di Calico che emana quel senso di fascinanzione di sterminati paesaggi del West, e forse per quell’ineludibile senso di malinconia, nostalgia, vaghezza dell’anima che i brani suggeriscono, Could We Get Any Closer non è altro che la cronaca di una serie di amori inseguiti ma falliti, traditi e poi ricordati.
Ballatone intriganti, Tennessee Dawn e Today, slow-country davvero affascinanti come The Ghosts Of The Ridge e Almost Satisfied che lasciano al bluegrass la parte finale: da Could We Get Any Closer a I'm Kind Of Learning As I Go, a That's Why I'm Here With You, per non parlare della gospel song di Lead Me fino a Honey Hurry Home, ma di aria ne circola ben poco, e Jim Lauderdale rischia una mancanza di ossigeno. Ma il vantaggio del buon artigianato, si sarebbe detto una volta, è proprio questo: la garanzia, nonostante la discontinuità di alcuni passaggi, di trovarsi di fronte a prodotti dignitosi anche se non del tutto riusciti.