La band di Atlanta continua a trovarsi a proprio agio negli spazi angusti del delta-groove, tra southern e swamp blues, si resta -come nel recente best of- intrappolati nel tormento e nell’estasi delle chitarre di due artisti di razza, Tom Gray e Mark Johnson, il loro disagio a rapportarsi con le modalità di produzione correnti rende anche
You’ll Never Get To Heaven On A Hellbound Train un disco appetibile che non patisce deformazioni radiofoniche, non diluiscono i contorni di una sano blues del mississippi e sull’
Hellbound Train o in
Ain't No Train si muovono come fantasmi su uno sfondo opaco, sonorità diafane dai contorni sfumati che indagano su ciò che ci circonda, che possiamo solo avvicinare, ma mai afferrare come lungo la torbida
Room 429, la lap steel incornicia la melodia ma per il resto rinchiusa in cunicoli e anfratti dai quali non si percepisce mai il cielo,
Lonely ad esempio ha solo la pioggia come compagnia, i riff eliminano tutto quello che non è essenziale, un brano a dir poco splendido come la sinuosa
Get Gone, sull’incapacità della normalità che non ci permette di ‘sfondarci’ ma ci obbliga a andare lontani da ciò che conta, ascoltare
True Love Lies fino alla meravigliosa strascicata nelle acque del delta-blues di
You Got To Move.
I
Delta Moon aprono anche una finestra su Memphis in
Stuck In Carolina, e come nei quadri di Vermeer (lì c’è n’è sempre una!) rimanda inequivocabilmente a una potenzialità. Lì narrativa, qui musicale, nella corposa sezioni fiati. Paradisiaca è
Ghost In My Guitar -bel titolo, un punto di vista da un’angolazione molto particolare come la splendida
Take The Back Road Home dal retrogusto rootsy che la malinconica bellezza della perla acustica di
Plantation Song si porta addosso lungo le Dixie Lands dove il sole ci trascina fuori dalla palude e dalla nebbia calda che toglie il respiro. Calda, malsana, in cui i
Delta Moon amano nascondersi.