GUY CLARK (Somedays The Song Writes You)
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  Recensione del  02/01/2010


    

Invecchia bene Guy Clark sebbene le dimensioni del suo corpo siano ormai massicce, su di un palco, del suo spazio musicale, ne prende possesso ancora con estrema naturalezza e professionalità con le sue accorate ballate che come il suo volto di bambino invecchiato, lasciano ancora trasparire i sentimenti nel modo più elementare possibile, nei ritratti e storie che non sempre scoprono una maschera sorridente -al pari di un certo Townes Van Zandt, il miglior cantautore contemporaneo continua dopo il bel Workbench Songs, datato 2006, ad abitare lo spazio nebbioso che separa razionalità e passione, parola e suono, mito e storia, e come nella tradizione dei cantastorie riempe gli spazi lasciati vuoti dalla sua voce, a tratti baritonale, con la sensualità della chitarra acustica e Someday’s The Song Writes You riassume al proprio interno poesia e letteratura, incominciando ad emozionare proprio dalla title-track una personalissima esamina del processo di scrittura, con un modo fantasioso per cercare di scovare quella magia in musica, quella della splendida The Guitar, ma la strada non è sempre così scontata e le difficoltà a trovare le parole adatte esistono, come la facilità di affondare nello sconforto raffigurato dal bicchiere della meravigliosa malinconia di Hemingway’s Whiskey.
La magia del cantautore texano è figlia di una produzione semplice, un paio di chitarre (grande contributo è quello di Verlon Thompson) il violino e mandolino di Shawn Camp e le canzoni classiche come Eamon, co-scritta con Rodney Crowell, ispirata alla famosa The Dutchmen di Michael Peter Smith e The Coat, dai sintomi di una relazione confinata in un’esistenza ovattata chiusa entro confini angusti, gli spazi aperti di una giornata fredda e piovosa. Perle di struggente bellezza dove i suoni non prevalgono sulle parole, ma si legano tra di loro lasciando spazio alla meraviglia della melodia.
Un discorso sul vivere che intreccia sensazioni e analisi, giudizi e animo dolente, musica che sistematicamente mette a fuoco il prima e il dopo, come se i fatti nel momento in cui accadono non contassero poi molto, dal candore di All She Wants Is You a Townes Van Zandt della sempre bella If I Needed You, a cui Clark va incontro durante la notte nei suoi sogni, allo stesso modo delle strade innocenti narrate da Ellroy, ecco l’intensa Hollywood e seppur la distesa del bacino di Los Angeles sembri lontano, le lingue di fuoco che tanto amava guardare Loyd ardono nello splendore della sua musica. Il tocco leggero e ironico aleggia nel finale, l’armonica del delizioso rootsy-bluesy frizzante di Wrong Side Of The Tracks e le ballate di One Way Ticket Down e Maybe I Can Paint Over That riempiono quell’assenza tanto evidente da essere voluta, ma capace di esaltare l’equilibrio di un perfetto capolavoro, quello di Someday’s The Song Writes You.