JASON EADY (When The Money’s All Gone)
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  Recensione del  02/01/2010


    

Money, it's a crime, cantavano negli anni settanta i Pink Floyd andando a toccare i nervi scoperti di una società basata sull'accumulo di denaro, sull'ostentazione e la rapace avidità di ricchezza. Nuovo millennio ma tutto resta invariato, anzi peggiora, non tanto per coloro che di soldi ne hanno pochi, ma per chi il gruzzoletto se le visto portare via dal vento della crisi, problematiche della vita sociale che stanno a cuore al giovane songwriter nato nel Mississippi ma trasferitosi in Texas, Jason Eady, che se non ha perso la forza di distogliere lo sguardo da quello che ci circonda per volgerlo altrove, il suono più marcatamente country dei due dischi precedenti è stato quasi del tutto accantonato per incamminarsi su una strada diversa, la bluesy route in direzione della Louisiana, un luogo caldo per la mente capace di svaporare il ghiaccio che screpola il cuore, lì si trova When The Money’s All Gone.
11 brani di folk, gospel e delta blues, voce e poesia che poggiano ora sull’armonica, ora su sermoni immersi nel fascino bluesy come nell’iniziale e deliziosa God Fearing Blues, e non per caso si fa accompagnare dalla The Band of Heathens ai cori e alla strumentazione, il gruppo a cui si lega maggiormente il suono del nuovo disco, e insieme cantano: “I got baptized when I was ten, I got a little dirty so I did it again, The preacher said ’son why are you back so soon?’ I said ‘let’s get this done, I got things to do’ I was saved in the morning And back that afternoon”, prezioso l’apporto della ‘Pentecostal Church’ Georgiana in coda al brano.
Ci accompagna verso la splendida title-track con un lungo accompagnamento orchestrale, un brano scritto con Walt Wilkins che ha collaborato al suo precedente disco nel brano Redemption, il senso è sempre lo stesso ma stavolta batte sul ferro caldo dell’economia, la società nasconde i mostri nella parte oscura della coscienza, ma questi riaffiorano ed evidenziano l'inconsistenza dell'equazione benessere uguale felicità. Prodotto da Kevin Welch, l’itinerario di When The Money’s All Gone segue il percorso della conclusiva Travelling Show, dalla Carolina, attraverso il Tennessee al Mississippi fino alla Louisiana ma sempre col Texas sullo sfondo dove poi l’album è stato registrato, ecco allora la fisa e lap steel ad avvolgere la luccicante Evangeline, l’ipnotica bellezza di brani più vivaci come Judgment Day scritta con Scott Davis (la sua penna anche nella meravigliosa cupezza di Watering Hole), o di ballate incantevoli come Cry Pretty dove le emozioni di una conversazione tra un lui e una sua vecchia fiamma, avvolgono anche l’ascoltatore.
Non sono periodi di grandi gesta, la salvezza va costruita in silenzio giorno dopo giorno, nel mare in tempesta l’importante è non affondare, una perla Everything's Gonna Be Fine, rock molto suggestivo con il calore della fisa che ricopre anche un altro bluesy affascinante come Cane River Blues, co-scritta anche questa ma con Adam Carroll, altra storia di povertà e dolore sempre in Louisiana, di un omicidio e conseguente prigione per aver vendicato la morte di un fratello che non era proprio una di quelle persone che amano il prossimo. In mezzo a tanta bellezza non potevano mancare momenti intensi e introspettivi molto toccanti, da Promises In Pieces, scritta e cantata con Gordy Quist -ma c’è anche la lap steel di Colin Brooks, allo splendore di Maybe I’ll Stay A While aggraziata dalla fisa di Joel Guzman che segue un uomo nel suo peregrinare, ma al suo ultimo viaggio, in bar, un giorno, si rende conto di essere troppo stanco per continuare: “It’s warm in here and it’s cold on the street Maybe I’ll stay a while”. When The Money’s All Gone insomma è un 'piccolo' gioiello, il disco di un 'piccolo' musicista che ha raggiunto la piena maturità.