Il singer-songwriter e attore
Kris Kristofferson riprende il suo personalissimo ‘road-movie’ iniziato con
This Old Road, album inciso dopo ben 12 anni di silenzio, e sulla scia di un ritrovato successo si rimette in cammino su quella vecchia strada per continuare la sua disamina della realtà circostante, sempre più vasta e sconosciuta, tra soste, incontri, amori e separazioni, silenzi e perdite, per un altro disco colmo di confessioni sincere e di piaceri elettro-acustici,
Closer to the Bone.
“
I think the two albums are completely of a piece. I love This Old Road. There’s something really immediate about it, and really profound. I personally think this is a better record, overall. But i like the intimacy of the new album. It has a general mood of reflecting on where we all are at this end of life.”
Closer to the Bone è ancora un disco quasi prettamente acustico, adatto a descrivere personaggi che fanno parte di quell’umanità che ci sfiora continuamente, ma della quale non si sa poi molto e forse non ce ne frega nulla di sapere, perché le nostre abitudini quotidiane sembrano assorbirci totalmente senza lasciare spazio alla sosta, alla riflessione, alla conoscenza su cui Closer to the Bone costruisce il suo credo, recuperando i punti cardini rappresentati dalla famiglia, ai bambini in
From Here to Forever (co-scritta insieme alla splendida
Let the Walls Come Down con Stephen Bruton -scomparso il maggio di quest’anno a Los Angeles dopo una lunga battaglia con un cancro alla gola- e mentre Kris impugna l’armonica, lui lo segue alla chitarra e mandolino come ha fatto nel tour seguente a This old Road, e
Closer to the Bone è dedicato alla sua memoria: “
Stephen was more like a brother than a guy that worked with me. We went through a lot of years, a lot of laughter, a lot of heartache. I really felt close to Stephen. His spirit’s on the album.”
Profondo amore anche per la moglie nelle deliziose
Tell Me One More Time, la struggente
The Wonder e
Holy Woman dove oltre all’armonica e mandolino aggiunge la fisa che impreziosisce anche la splendida
Starlight and Stone, e tra salvezza, politica e coscienza sociale (
Sister sinead scritta per la stravagante accoglienza riservata a Sinead O’Connor al 30° anniversario di Dylan al Saturday Night Live) sulla strada c’è anche l’ironia, come nella confessione iniziale dell’adorabile
Closer to The Bone “
Ain’t it kinda funny, ain’t it just the way though/Ain’t you getting better as you’re running out of time…,” e i ricordi del suo amico Johnny Cash -nel luminoso folk-roots di
Good Morning John, con cui ha diviso il periodo dei The Highwaymen, il supergruppo che contemplava anche Willie Nelson.
Difficile trovare ballate sottotono, restando in tema di countryman, toccante quella di
Hall of Angels dedicata alla figlia di Edward Thomas Rabbitt, dando spazio nel finale alla pianificazione amorosa che esclude l’amore stesso con l’ombra del divorzio di
Love Don't Live Here Anymore, quei sentimenti che come descrive
Tell me one more time, hanno il difetto di essere incontrollabili e imprevedibili.
Kris Kristofferson dimostra di aver imparato moltissimo dal suo passato musicale anche recente, ma
Closer to the Bone aggiunge anche lo spirito dei suoi film, quello dove le emozioni e la storia scorrono sulla pellicola in naturale sintonia con le illusioni e disillusioni degli spettatori.