Il cowboy canadese
Corb Lund è sempre innamorato dei saloon, della western music ma stavolta col suo cavallo è sceso fino in Texas e le occasionali compagnie di viaggio nei piccoli insediamenti dell’isolata periferia, lo hanno aiutato a scrivere il disco più bello.
Losin’ lately Gambler è genuino come il whiskey e la vita del ranch che canta nelle sue canzoni, lui cresciuto nella rurale Alberta è da un decennio un acclamato countryman nella sua terra, tanto da vincere per cinque anni consecutivi il Music Award della musica indipendente che seppur canadese simpatizza molto per Nashville, dove ha registrato il suo ultimo disco, ma al sesto album
Corb Lund si affida ad una major americana, si lascia coinvolgere da un sound misto e resta alla larga dal country più insopportabilmente sterile, zuccheroso e prevedibilmente stereotipato.
Quello buono soltanto come aperitivo. ”
So no, I think down here I fit in with the Americana guys or the underground country guys or the Outlaw country guys, whatever you want to call them. I call ‘em country that doesn’t suck, or whatever”. Le relazioni interpersonali e soprattutto il lato malinconico, da looser, interessano a Corb Lund tra giocatori d’azzardo incalliti, vita agreste, alcohol, chitarre e un gran senso dello humor che spiattella immediatamente con le prime due canzoni, country con lo scheletro elettrico -un po’ roots o un po’ classiche, ma entrambe deliziose,
Horse doctor come quick e
Steer riders blues, tra veterinari (il mestiere del padre, a cui chiederà soldi nella simpatica
Talking Vetrinarian Blues), cavalli e l’immancabile rodeo ritenuto più eccitante delle lezioni scolastiche, e chissà perché… La prima perla affonda nella malinconia, splendida la ballata
A Game In Town Like This, dove Corb canta "
I'm a losin' lately gambler but that's not all I've ever been/Cuttin' back your losses is just another way to win" e come si fa a non simpatizzare per il ‘giocatore’ e il suo atteggiamento di sfida alla vita, capace di tuffarsi nella cose e di sorbirle fino alla dolorosa delusione (altro che vita vissuta al risparmio!).
La ballata serve anche per ricordare la sua città natale, adorabile anche
Alberta Says Hello con un gran lavoro alla slide di Grant Siemens, e sullo stesso tema ma più godereccia
Long gone to Saskatchewan immersa sì nel country ma venato di western, quello che piaceva al folksinger Willie P. Bennett, canadese anche lui, omaggiato con
It's Hard To Keep A White Shirt Clean mentre per la seconda cover sceglie la ballata di Marty Robbins,
Devils best dress e l’aria di confine e il Messico si adattano maggiormente a Corb Lund. Altra perla, stavolta tex-mex è su una pistolera assai vivace che impersona l’opposto di quella figura femminile che dovrebbe richiamare il cowboy errante a valori più stabili, mettendo in gioco la sua tempra morale ma come recita la deliziosa
The only long rider i know, ‘l’eroe’ a questa lusinga resiste e invece di mettere radici preferisce il suo nomadismo incessante che imperversa nel finale, meravigliosa
Chinoka Wind un country-roots ruspante che Waylon Jennings se potesse, canterebbe molto volentieri. A chiudere altra dimostrazione del salto di qualità del canadese tra la toccante
This is my prairie e una live song festosa tutta alcohol,
Rye Whiskey/Time To Switch To Whiskey, registrata in Australia. Non ci sono dubbi, il cowboy ha fatto centro!!