BRANDON JENKINS (Brothers of the Dirt)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  02/01/2010
    

Un titolo che la dice tutta per l’ultimo lavoro di Brandon Jenkins, il singer-songwriter nato a Tulsa, Oklahoma, che evoca ora per mezzo del ritmo, ora grazie alle sue numerose partecipazioni di artisti e amici musicisti, ora attraverso la sua recente storia e le sue atmosfere, il movimento etichettato Red Dirt Music. Se nel precedente Faster than a Stone c’era parvenza di stantio con Brothers of the Dirt rimette le cose a posto, le 12 canzoni cantate, scritte e suonate con i miglior musicisti della ‘terra rossa’ sono tutte convincenti e attraenti, il che rende gestibile e accettabile la sua passione per il blues perché per il resto, la penna continua ad essere tirata a lucido, basta ascoltare la politicizzata apertura della brillante Blood for Oil, in cui si esplorano le due facce di un umanità -povertà e ricchezza, e chissà perché ma la voce si indurisce quando mira a quell’insignificante schiera di fantocci e manichini che sguazzano nei soldi.
Prima comparsata illustre nella rock ballad What I Was Born To Be cantata con Jason Boland e non per niente la sua voce, il suo modo di cantare cade a pennello su questa analisi della vita dello stesso Jenkins, davvero in gran forma con le ballate che si incendiano a dovere, così anche per All In All, una delle tante canzoni scritte con Scott Hutchison cantata stavolta con Mike McClure, una riflessione sulla vita alla ricerca di uno straccio di felicità. Altro rock felice è Blues in Out of Babylon un brano iniziato a scrivere nel 1998 e terminato solo dopo l’attentato dell’11/9, stavolta tocca a Cody Canada rispecchiarsi tra le contraddizioni della democrazia americana, ed invoglia a tornarsene on the road con l’amico Stoney LaRue nel bluesaccio pastoso di White Van BluesMy home away from home is that damn white van. I’ve wore down I don’t know how many of them into the ground, hundreds of thousands of miles…” con cui duetta anche nella toccante dolcezza chitarristica di Innocent Man, basata sul romanzo di John Grisham (Innocente. Una storia vera) protagonista il giocatore di baseball Ronald Keith Williamson divenuto noto alle cronache per essere stato erroneamente coinvolto nelle indagini per l’omicidio di Debbie Carter: accusato, carcerato e liberato solo dopo 17 anni! Streets Of North Hollywood stranamente è narrata da un punto di vista del tutto femminile, su sunset blvd e sempre con LaRue nel ritratto di una giovane senzatetto, una storia triste che poggia per intero sulla chitarra di Jared Tyler.
Ancora blues di ottima fattura in Marching Toward The Guns, tra due tipologie di persone -quelle che quando ascoltano uno sparo se la danno a gambe levate e quelli che invece ci vanno incontro, due chitarristi doc come Steve Pryor e Brad Absher bastano per amare immediatamente questa canzone. Lap Steel per affrontare l’Amore e non poteva che essere a Parigi, ma con We Could Go to Paris si allontana così troppo da casa, ma il suono della trascinante accoppiata di violini e storie strappacuori, lo portano alla sua attuale dimora, il Texas, ecco allora la splendida Hearts Don’t Break Even con un gran lavoro di Brady Black al violino, così la vecchia scuola country si impadronisce di Jenkins e del finale di Brothers of the Dirt, dalla ballata luminosa di Ricardo’s Cadillac, un ragazzino e un sogno di libertà, al mandolino prezioso di Johnny Cooper nella radiosa Each Step You Take. Lo stile di Brandon Jenkins si ravviva e riprende ‘colore’!