Decimo disco, terzo consecutivo per la Lost Highway, segna una nuova puntata del percorso di
Lyle Lovett –iniziato con l’esordio omonimo- nel classico suono folk-country infarcito con lo swing texano, col blues e col jazz. Dopo
Road to Ensenada, nel 1996, si era defilato scegliendo di dedicarsi a collezionare dischi di cover, live, antologie e colonne sonore, ma in sette anni lo hanno visto registrare solo 2 nuove canzoni. L’idea di
Natural Forces si ricollega al periodo felice del capolavoro di
Step Inside This House del 1988, come quel disco pieno zeppo delle canzoni che lui amava cantare,
Natural Forces è pieno di cover con solo 5 delle 11 totali, farina del suo sacco (e 2 delle quali co-scritte con altri cantautori).
Ma
Lyle Lovett non ‘tradisce’ i fan dal punto di vista musicale -anche se qualitivamente inferiore a My Baby Don’t Tolerate del 2003-, prima di omaggiare i suoi colleghi texani,
Natural Forces si sofferma sulle nuove incisioni: si inizia alla grande lungo la strada che accompagna animali e rodeo riders (ma potrebbero essere anche gli stessi musicisti o chiunque altro decida di vivere la propria vita on the road) “
Home is where my horse is” canta nella ammaliante title-track e non lasciatevi ingannare dalla giocosa
Farmer Brown/Chicken Reel, il pepatissimo country-swing santificato dal coro con “
I’m gonna choke my chicken”, che dal vivo promette spettacolo ma su Natural Forces non fa poi una gran figura, vabbè, il suo senso dello humor lo si conosce, ma qui esagera, forse è per dar sfogo ad una Large Band che in quest’ultimo lavoro non è poi così ‘large’, più acustico e introspettivo, ma il lato malinconico di Lyle Lovett è anche il suo punto forte, ascoltare la splendida ballata di
Empty Blue Shoes, un bluesy spezzacuori, tra i punti più alti e anche più scuri dell’intero disco.
Così la Large Band è costretta a ritagliarsi piccoli siparietti ma sempre convincenti, come per
Pantry (scritta con April Kimble) in doppia versione -acustica in chiusura, dove un cuore ‘affamato’ chiede alla moglie di attendere il suo ritorno e lo fa appellandosi ad un country bello spigliato. Da questo punto in poi iniziano le cover, scelte tra quelle che si adattano maggiormente al suo modo di cantare, allora la meravigliosa
Loretta di Townes Van Zandt diventa una scelta obbligata -piano e violini dolcissimi-, poi il valzerone di David Ball con
Don’t You Think I Feel It Too, ad Eric Taylor con la bella
Whooping Crane, le intense
Bayou Song di Don Sanders e
Sun and Moon and Stars di Vince Bell fino alla jazzata
Bohemia di Tommy Elskes.
A sorpresa chiude con un rock(gospel) co-scritto con Robert Earl Keen, titolo:
It’s Rock and Roll, brano affascinante, ricco di suggestioni a segnalare che dopotutto Lovett c’è sempre, anche quando sceglie le cover val sempre la pena seguirlo!