Un sestetto travolgente, una gagliarda american rock n’ roll band con un pizzico di country e soul capitanata dal vocalist James Trimble, nata per caso in ‘soccorso’ ad un'amica in una serata di benificenza, dove a suonare insieme ai Sister Hazel ci doveva essere una band che una decina di giorni prima dell’evento aveva dato forfait, e allora l’idea: “
This girl needed a band to play for free and didn't know what to do. So i started a band. ‘Why don't you let us open for Sister Hazel?' So, in that sentence, the band began."
Era la primavera del 2006, due anni dopo sulla scia di un Ep e il Battle of band trionfale all’Università del Tennessee arriva l’esordio impetuoso ed indipendente di
Don’t Need No Money per i
The Dirty Guv'nahs, meritatamente votata come miglior band di Knoxville dalla stampa locale (e come dargli torto, l’intensità che sprigiona la voce di James Trimble e la slide di Justin Hoskins hanno tutta la voglia di suonare degli Stones, Allman Brothers e dei Black Crowes). Al secondo disco, che porta semplicemente (!) il loro nome, il canovaccio non muta molto, qualche rilettura dell’esordio, ma di certo nulla di lento e freddo, non si rifiutano di ignorare il dolore della vita, degli stilemi della contemporaneità metropolitana –solitudine, ipercomunicazione- ma loro preferiscono sprigionare tutto il buono della vita, e il disco aumenta il numero di giri, adatte ad un giro on the road, agli spazi aperti, dove il paesaggio rispecchia il piacere di far festa, dove il contagiri subisce qualche improvvisa caduta ma la strada non è mai in salita ed il vento del southeast, molto anni ’70, inizia a soffiare sin dalla splendida
We’ll Be The Light e mentre Michael Jenkins, Justin Hoskins e lo stesso Trimble riscaldano le chitarre, i movimenti dei corpi delle loro storie seguono precise traiettorie, di contatto e di allontanamento quantomai piacevoli in
Common People, all’avvolgente romanticismo di
Brown Little Bird, altra perla è
Borrowed Time, tutta riff e amore, di quello che comincia durante un pranzo e continua con diversi mal di testa in tanti, tantissimi altri posti.
C’è l’hammond di Chris Doody (completa la band la batteria di Aaron Hoskins e il basso di Mitch Stewart) che solca anche
Quiet Tigers e
Afternoon Eyes, uno sguardo in ques’ultima proprio da chi suona in una rock band vista come una grande famiglia in cui i pregiudizi e i luoghi comuni decadono a favore di una liberizzazione dello spirito e delle idee, che si trasforma in una spumeggiante schitarrata di 6 minuti che lascia il segno (per gli amanti continua coi 3 minuti conclusivi di
Lovely Bones, nella strumentale
Permaneo Dies, alla paradisiaca
Leaving Road…). Ma c’è anche la spensieratezza di
Oh, Jericho e le ballate elettro-acustiche di
Born To Thieves e la
Saguaro ripresa dal disco d’esordio, una paio di dense ballate emozionanti e struggenti calate nel caos cittadino dove è difficile definire il vero e la voce di Trimble tira fuori la sola cosa capace di salvare l’uomo: l’essere sinceri e restare se stessi, anche quando i ‘diavoli’ che accendono la coda finale della splendida
Saguaro sono dentro di noi (quelli buoni dopotutto vivono in
Leaving Roads). Dei
The Dirty Guv'nahs si potrà dire che hanno inciso dischi già scritti, ed è probabilmente vero, ma non tutti hanno la capacità di individuare il cuore di quel suono continuando a batterci su.
The Dirty Guv'nahs ci riesce alla grande!!