Il sacro fuoco dell’esordio non si raffredda, i
Left Lane Cruiser sono ancora più incazzati, non rinunciano alla vena onirica del tutto personale che li contraddistingue ma il suono nel nuovo
All You Can Eat diventa violento come la violenza che respiriamo dappertutto, per le strade e austostrade, nelle tv, che fa parte di una vita competitiva, aggressiva, irrispettosa, appunto violenta e capitalistica (amore per il tracotante vil denaro, la concorrenza ad ogni costo, la legge del più forte o quella del conto solo io e via dicendo).
All You Can Eat non poteva che essere una furia, i due ragazzi dell’Indiana perdono un po’ per strada il blues trascicato che aveva valorizzato il successo di
Bring Yo’ Ass To The Table e ‘abusano’ stavolta della sezione ritmica, ma sanno ancora farti sobbalzare dalla sedia dallo splendido trittico inziale di
Crackalacka,
Hillgrass bluebilly e l’incantevole slow-blues di
Ol' fashioned rischiano di essere pesci fuor d’acqua tra i ritratti di un’umanità smarrita ed abbruttita, brani che dalla granitica
Hard workin man non incarnano proprio un’idea di ordine e armonia, semmai l’opposto: un’istintività animalesca, una conflittualità irriducibile, un vivere ottuso e stolido, deliziosa, ci mancherebbe altro, quell’
Hard workin Man ripetuto all’infinito, ma di blues resta poco, così da
Black lung si smarrisce per incupirsi fin troppo, Freddie J. Evans IV e Brenn Beck pestano sempre più forti piedi e batteria e così a testa bassa ad urlare da
Hard Luck a
Broke ass-blues, a
Putain! Niente sole, ma solo pioggia. Niente caldo, inverno gelido.
Pochi colori nelle fatiscenze della nostra società finta borghese, non c’è nulla di cartolinesco e di noto nei ‘piacevoli’ discorsetti di
Putain! Stesso tatto per la cavernosa
Poopdeflex, chiudendo a muso duro con
Waynedale. Son bastati cinque giorni per registrare
All You Can Eat: “
This is the most time we’ve had to record, ever,” dice Joe, “
but we were under the gun the whole time.” E anche se non raggiunge i livelli dell’esordio il volerlo volutamente sporco, quel non farsi voler bene per forza dal pubblico, lo rende interessante. Ogni tanto un po’ di sano furore non guasta.