Nato a Jackson, Mississippi, il countryman
Michael Davin James ha trascorso la sua giovinezza tra la Louisiana e l’Arkansas fino ad approdare nel Southeast Texas, e lì nella dolce tranquillità delle giornate passate a pescare, nella solitudine della natura tra calore e noia, l’amore per la chitarra e per la country music ha avuto il sopravvento, con il sostegno del padre, delle sue amate stazioncine country e sebbene bazzicassero gli Skynyrd, all’Hank Williams di Whiskey Bent and Hell Bound è toccata la precedenza nel cuore di Davin.
Voce profonda, un virtuoso della chitarra, si è costruito una degna reputazione con i suoi quattro dischi indipendenti incisi nell’arco di un decennio (
Making My Mark del ’95 grazie alla legenda Gary P. Nunn innamoratosi di un suo nastro,
Nowhere Lounge del ’99 periodo in cui divideva il palco con Larry Joe Taylor, a
Magnolia del 2001, il suo successo, all’ultimo
Davin James del 2003) hard roots country, blues e rock e siccome
Davin James è uno showman nato,
Live si candida a divenire il disco di punta della sua discografia: parte con un country bello pimpante, armonica, slide, vocione e
The City Beat Me Back Home assume le forme di una determinazione caparbia di fronte ad una città che tenta di dissuadere le sue vedute della vita ruspanti, ‘invitandolo’ alla ragionevolezza e a tornarsene in campagna, altro che ammonimenti godiamoci le Texas night della deliziosa
Guadalupe Days e l’oscurità non è mai stata così salutare, tutta riff e slide che diventa protagonista incendiandone il finale.
Il pubblico apprezza e le mani battono forte mentre si appresta ad omaggiare Gary P. Nunn con il country verace di
Back In The Swing macchiato dal blues, il terreno preferito per lasciar andare la sua chitarra e si diverte parecchio con le rocciose cover di
I Know A Little e
Red House di J. Hendrix (non poteva che essere la scelta perfetta), prima di tirare fuori dall’ottimo
Magnolia altre perle stranote,
Real Good Night uno splendido country-rock alla texana, e la stessa
Magnolia. Altro bluesaccio strascicato è
Dog Days Blues che apre un finale vigoroso dal mississippi & whiskey rispolverati nello splendido rock di
Red White & Blue, alla sferzante accoppiata di
Ten Foot Pole e soprattutto la tosta
Dirty Work dove il lavoro, lo status sociale, si rivelano pura apparenza, precarie corazze oltre cui si cela una natura, un sentimento e un desiderio di irriducibile libertà che appartengono ai dischi di questo bravo countryman ‘texano’,
Davin James.