L’irish roots di
Bap Kennedy riprende finalmente la strada dello splendido esordio di
Domestic Blues e si impone come il gradito ritorno sulle scene musicali di un songwriter capace ancora di elaborare con rara finezza storie intorno ad Hank Williams & Soci, ed
Howl On rispolvera tutta la sua abilità lasciata in
The Big Picture del 2005 solo a sporadiche ballate troppo lontane dall’’Eire country&roots’ che dalla fine degli anni ’80 l’ex frontman degli Energy Orchard ha abbracciato lasciando il rock di Belfast per il folk-country dell’America.
Son passati dieci anni ma continua a rivolgere il suo sguardo malinconico al passato, in un’america che nel 1969 alzava gli occhi al cielo verso la luna mentre a Woodstock si celebreva la storia della musica, un giro nostalgico nella memoria, nella storia sociale e culturale dell’America attraverso gli occhi di un ragazzino catturato dall’uomo sulla luna, dai film dei cowboy, autobiografico quanto basta e come sempre Hank Williams, Jimi Hendrix, e naturalmente il Re, Elvis Presley solcano
Howl On.
Riflessioni che iniziano con la dolcezza di
America e l’innocenza di un ragazzino di 7 anni che aspetta lungo un’intera notte davanti alla tv che l’Apollo 11 tocchi il suolo terrestre, riparte dalla slide guitar una musica che sonda quella dimensione particolare dell’animo che precede ogni viaggio temporale, dimensione sospesa nella dualità dell’essere dinuovo presenti sapendo di essere lontani, estranei al luogo e alle persone intorno, tra il desiderio di rivivere il viaggio e la nostalgia dei luoghi che si stanno per lasciare ancora una volta.
Cold War Country Blues rappresenta l’altra faccia di bap, le altre sue passioni Elvis e ovviamente Hank, roots-country acustica, melodica e molto surreale, alla sua maniera, dove aggiunge JFK e l’astronauta della NASA Jim Lovell mentre canta "
They sent Hank Williams to the moon", alla meravigliosa malinconia elettro-acustica di
The Wright Stuff dal sapore border, dove al mondo reale il cowboy preferisce un mondo diverso, fantastico o no che sia, che soggiace ad altre leggi.
Autobiografica la deliziosa
Irish Moon dove con un drink in mano si pensa a Michael Collins senza mai abbandonare quel leggero tocco di confine della struggente
The Blue One e si trascina dietro l’immagine di un quotidiano sempre in fermento dove il dolore rende le cose sempre diverse ma poi le lascia, in realtà, molto uguali a se stesse allora è meglio aspettare che vada via come descrive nella splendida
Howl On.
La sua America è il sogno della nostra memoria postuma, la nostalgia della libertà che rappresenta la cover countryggiante di
Hey Joe, uno degli eventi di quel Woodstock rivista dal punto di vista della chitarra di Henry McCullough, l’unico irlandese che ha preso parte a quella festa che tiene alto il ritmo anche in
One of Those Days chiudendo in scioltezza
Howl On con altre ballate tra politica e realtà di
Last Adventure, miste country,
Brave Captain tra mandolini, armonica e slide che traccia anche la leggiadra
The Heart of Universal Love lasciando l’ultima domanda al più famoso viaggiatore dello spazio in
Ballad of Neil Armstrong, ovvero:“
Can you put in a good word with God/ As I sail my ship into the void”.
Un disco come
Howl On può essere nato solo da un atto d’amore:
Bap Kennedy lo prova pensando ai suoi miti del passato, talmente forte che finisce per possedere non solo colui che lo porta dentro ma anche tutti coloro che lo ascolteranno.