Difficile trovare in giro canzoni più dolorose di quelle contenute in
Cotton, il terzo disco del songwriter di Austin, molto waitsiano per come descrive personaggi e storie che vanno a completare una trilogia che mai come in passato sembra scolpita intorno alla sua vita. Canzoni di profonda bellezza, suono tra folk e country, tracce gospel e quella voce roca che come sempre tronca le parole, un ricordo di quel lontano 1986 quando lungo la tratta per Cuczo, in Perù, il treno su cui era a bordo saltò in aria per un attentato terroristico che si portò via molte delle persone che viaggiavano nella sua stessa carrozza.
Un miracolato, ma fino ad un certo punto: la mano, una gamba e danni al cervello che hanno compromesso l’uso della parola e della memoria gli hanno cambiato la vita e i brani di
Cotton rispetto a
Mercy del 2004 e
Pretty World, di tre anni più tardi, ruotano intorno a quei tragici momenti, canzoni sempre emozionanti, bellissime le storie che vedono protagonisti uomini alla ricerca di se stessi e
Cotton serve anche a questo, ad aiutare questo talentuoso songwriter ad accettare una vita che non è stata più la stessa da quel giorno.
Bravissimi i musicisti (Tim Lorsch al violino, viola e mandolino, Steve Conn al piano e Mike Daly alla pedal steel e slide guitar), 13 le canzoni tutte scritte dalla sua mano eccetto per due vecchi classici, riscoperti in versioni del tutto particolari dal country vellutato di
Who's Gonna Be Your Man all’iniziale
Dixie dove le donne cantano di donne, e poi l’amore che diventa conflitto, riconciliazione, rancore, infelicità nei ricordi di quella disperazione di non essere padroni (nel senso di poter decidere di essere immortali o di concedere immortalità) della nostra vita e di quello di chi è vicino.
Splendida la title-track, folk e country elettrico che innescano una strana ed efficace tensione, ma
Cotton è uno di quei dischi che improvvisamente non si esibiscono più e si nascondono tra angeli e spettri che riacquistano a turno fisicità, da
Moon al Baker che si chiede in
Mennonite "
Who's to say what love is?" scritta con la porta chiusa mentre riscrive con la porta aperta nella struggente
Signs (finale al piano meraviglioso che accompagna anche
Say The Rights Word), e ciò che era una cosa tutta sua esce allo scoperto, per appartenere a chiunque abbia voglia di leggerla ed ascoltarla.
Canzoni di impercettibili scarti dell’animo, di voragini esistenziali, di solitudini che convergono, di emozioni a perdere, di instabili precipitati emotivi nella doppia
Palestine I –elettrica- e
Palestine II –acustica- si canta '
Who is ready for salvation, who wants a soul washed clean' parole che sono come fiori che si staccano da alberi pronti a ricominciare tutto da capo e si decolla con un paio di capolavori folk-country da
Angel Hair dove canta “
What would make a person leave and not come back? Not a day goes by when I don’t think about you” alla slide sublime di
Not Another Mary.
Chiudono
Bridal Chest e la dolcissima
Snow, ovvero la felicità e l'amore non sono che l'altra faccia di una irresolvibile angoscia esistenziale. Resta alla fine di
Cotton la fragranza un po’ lieve, un po’ opaca, un po’ pesante della vita e
Sam Baker se ne fa carico senza remore e regala l’ennesima perla.