MICHAEL DEAN DAMRON (Father’s Day)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  01/11/2009
    

Ve li ricordate gli scalmanati I Can Lick Any Sonofthebitch in the House? Ebbene il frontman ora solista Michael Dean Damron -Mike D come lo chiamano i Thee Loyal Bastards, la band che lo segue nell’avventura solista- avrà pur cambiato registro ma le canzoni del suo terzo disco Father’s Day restano leggermente inquietanti, scavano con durezza nelle anomalie quotidiane che costellano le cronache nere o bianche dell’alienazione americana tra il dramma che molti si portano dentro ma Father’s Day aggiunge quell’umiltà della coscienza che apparteniene alla classe dei diseredati che si misurano con la realtà che spietatamente impone le sue ragioni.
Folk-rock & roots, una via di mezzo tra la quiete e la calma dell’esordio acustico di A Perfect Day for a Funeral e il nervoso Bad Days Ahead, delle barroom song con un senso di ribellione dalla parte dei loosers che danno del tu al dolore e fin dall’apertura di Dead day's l’accostamento con Ben Nichols e con i Lucero è forte ma la voce e la musica di Mike D si portano addosso tutti i segni del suo passato lasciando affiorare un songwriting del tutto personale che gioca sui livelli di intolleranza e conflittualità, disordine e odio, incomprensione sentimentale e malessere generazionale che fanno di Michael Dean Damron un songwriter originale e convincente come descrivono i versi della cruda bellezza della title-track: "Son, if you wanna go far, get yourself a good pair of walking boots. They’ll take you where you need to be. They’ll take you far away from me" le parole di un padre al figlio che lo lascia incamminare da solo sul sentiero di una nuova vita da scoprire.
Rock ballad e roots di spessore, malinconia acustica immersa nel suono avvolgente dell’armonica che duetta spesso con la telecaster tra continui sbalzi d’umore, passa dal sorriso sulle labbra alla tragedia, al sarcastico e al politico sempre la stessa ‘merda’ solo punteggiata nel titolo della deliziosa S.o.s. ad Angels Fly Up altra gran canzone, dalla parte dei poveri e dei disadattati, senzatetto da una parte soldi e potere dall’altra. Passa così all’armonica bluesy della saltellante Tornado song e si apre un terreno di contrasti nella vita sentimentale della coppia che nel mondo di Damron non è mai quieta e serena, sempre percorsa da passioni e mire subdole che intorbidano le acque di I’m a bastard all’emblematica I Hope Your New Boyfriend Gives You Aids che lascia un po’ interdetti, un brano scritto pensando al sua batterista che nelle concitate battute di una traumatica scenata di abbandono, alla sua ragazza urlava un augurio sincero di nuova vita (sipario che ha rigirato anche a Damron ma regalandogli l’ispirazione per un’altra toccante ballata), perdita che solca anche la rabbiosa Boy with a car un inno splendido alla infinita, straordinaria capacità dell’animale uomo di scegliersi sempre una donna-padrone a cui affidare la corda che lo terrà legato.
Dancing in the moonlight è la prima delle tre cover, dei Thin Lizzy, un omaggio ad una delle sue band preferite, un raggio di sole isolato in Father’s Day le altre sono un paio di struggenti ballate, da Beautiful and Damned dei Drag the River dove l’apparizione del corpo luminoso della donna è visto come una luce che dissolve per un attimo ogni paura, una luce capace di trascinarti in un inferno mai così dolce, fino al mito di Townes Van Zandt con Waiting around to Die. Sofferenza mantenuta inalterata anche nella chiusura folk acustica di Playing dumb, Scream e della splendida Dark little secret, una sorta di garanzia della sincerità e coerenza di Michael Dean Damron.