HOUSTON MARCHMAN (Long Gone)
Discografia border=Pelle

     

  

  Recensione del  01/10/2009


    

Uno di quei dischi di cui ci si innamora facilmente, vista la maestria con cui il songwriter texano Houston Marchman costruisce ogni singolo brano nel suo ultimo disco Long Gone. Il verace Texas country degli esordi di Viet Nasville del ’95 c’è ancora anche se mischiato al folk-blues dei giorni nostri (lui ama definirlo ‘Grunge Country’) e si ‘sopportano’ volentieri il ritmo blando (tra il notturno e il fumoso, con quella voce impastata di whiskey) ballate incantevoli e svolazzi intellettualistici perché se c’è una qualità indiscussa di Houston Marchman è sempre stata quella capacità di infilare la vita reale nelle sue canzoni (“Don't write what you think listeners want to hear, write what you know") quella ricerca del senso delle cose portata avanti con ostinazione da chi continua a volersi interrogare sulle scelte, le decisioni da prendere, i motivi di disagio in un mondo che sembra impossibile riuscire a capire.
Lui ha iniziato a farlo nel ‘95 e disco dopo disco, uno più interessante dell’altro (Leavin’ Dallas, Tryin’ for Home, qualche live, agli ultimi Desperate Man, Blue Cadillac, Key to the Highway) in tutti si rimane aggrappati dall’inizio alla fine, del tutto affascinati da melodia e liriche, che tra intermittenze sentimentali e vita di provincia, calibrano al millimetro ‘le storie’, mai banali, ironiche e anche divertenti. In Long Gone c’è un tocco bluesy in più che mette in piazza sin dall’avvio con la splendida title-track tra l’esattezza (o la crudezza) dell’ambientazione provinciale e rurale, special guests -in questo caso Tom Gillam- e il Texas delle sue ballate che aiuta a dare compattezza al disco (violini e mandolino in Shreveport, rilassata e seducente e ancora violini in Ex Husbands ma più rootsy dove Marchman con la sua voce riveste col giusto calore questi uomini liberi da ogni coscienza, impenetrabili come roccie e figli di buona donna.
Altra limpida ballad è I Can't Go Back (in doppia versione) dove incornicia l’azione sottolineandole la purezza e l’espressività naturale del paesaggio, segue il movimento di figure e sentimenti attraverso un itinerario di whiskey e highway che mai più lo riporteranno a Detroit, un paesaggio che è semplicemente solo un luogo dove le cose accadono. Tell Me Why come Live Like Your Dyin' sono più corali, dannatamente avvolgenti, un folk-blues strascicato da una parte e un folk-bluegrass dall’altra, che affondano quel diffuso benessere che intrappola le esistenze di adulti immaturi, incapaci di affrontare la fatica del vivere, incosistenti e scialbi.
Crazy Eyes resta ancorata ad una melodia romantica e sognante che si adegua ad ogni circostanza sentimentale, un roots-bluesy bello vivace è Rocks In My Pillows che contagia il finale di Wichita e dello spassoso maialino protagonista della splendida Lightnin'. Long Gone, un disco senza più i confini del Texas ma sempre sospeso tra seducenti ballate di vita vera.