Questa volta
Owen Temple con
Dollars and Dimes se ne va in giro per l’America, un viaggio nella realtà dura quotidiana raccontata con lo sguardo spoglio e puro del songwriter di razza che è sempre in stretta relazione con un processo di modernizzazione che, poco o tanto, corrompe le abitudini di ogni giorno.
Undici canzoni registrate ad Austin, scritte anche insieme ad amici e illustri cantanti, da Adam Carroll a Gordy Quist (Band of Heathens) ad Scott Nolan in un nuovo disco che lungo le strade d’America non porta con sé il tipico sound texano, sceglie la ballata rock -seppur instrospettiva, tra l’elettrico e l’acustico, sempre fedele a quel senso della melodia dei suoi dischi precedenti- perché aderisce maggiormente al clima austero che affronta, quello socio-economico della crisi mondiale di questi ultimi mesi (e durante i suoi continui spostamenti sembra non mancasse mai al suo fianco il libro di Joel Garreau –The Nine Nations of North America- consigliato da un altro songwriter esperto viaggiatore, Brian Rung).
Le domande
Owen Temple inizia a porsele sin dall’iniziale
Broken Heart Land (“
How did your past get stuck in a pawnshop?“), una splendida ballata –ma
Dollars and Dimes ne è pieno zeppo- e nella poetica di Owen Temple si specchia il volto di quell’umanità che arranca per tenere il passo con i mutamenti sociali e di quell’instabilità economica che spazza via i più deboli, dolce
Black Diamond, suntuosa
Making a Life dove inizia il suo tour per gli States: altre ballate
City of the King e
Los Angeles con
Memphis più roccata, ma tutte hanno un suono avvolgente (merito alla band al seguito che annovera il dolce piano di Michael Thompson, l’armonica di Adam Carroll, Will Sexton alla chitarra elettrica e Gabriel Rhodes a quella acustica) seppur lontano dall’ottimo
Two Thousand Miles, gran texas country-rock, la scelta di
Owen Temple per un folk-rock diventa essenziale e riuscita in toto, come la malinconia con cui racconta le storie di uomini in preda a uno smarrimento esistenziale che se non si può vincere almeno si può condividere, seducente la title-track con il pregevole lavoro di Carroll all’armonica.
Spezza il ritmo
I Don't Want to Do What I Do dal titolo emblematico, parte dalla normalità ma è attraversata da inquietudini, come tutte le storie di
Dollars and Dimes ci si muove sull’orlo di un baratro, quasi sospese come la bella
Quiet Look chiudendo con l’acustica
Golden Age e la leggiadra
Winnipeg Waltz. In poche parole, il maggior difetto della civiltà americana sembra essere una severa ed estenuante praticità che perde di vista i veri scopi della vita concentrandosi sul sordido amore dell’acquisto e
Dollars and Dimes riflette tutta l’infelicità di un popolo che seppur abbia la più universale diffusione di mezzi di felicità mai conosciuta al mondo brancola nel dolore.
Owen Temple continua a sorprendere anche lontano dal Texas! (Adesso capisco la decisione di suonare in chiesa al recente South by Southwest – lì in alto, al 7° piano di un palazzone sulla caotica 6°th strada).