BOTTLE ROCKETS (Lean Forward)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  01/10/2009
    

Lean Forward continua in un certo modo ad affrontare determinati temi cari ai The Bottle Rockets: la solitudine, lo smarrimento interiore, l’inadeguatezza alle dinamiche sociali -per citarne solo alcuni-, una creatività musicale presente anche in Zoysia, ma rispetto al precedente disco il suono tende a riagganciarsi agli esordi di Brooklyn Side e 24 Hours a Day, barroom rock n roll che si spinge oltre, allo stesso modo dell’ottimo Brand New Year. Anche nel lontano ‘94 alla produzione c’era Eric Roscoe Ambel e come allora i The Bottle Rockets si calano nella cuore dell’america, dagli ambienti urbani degradati, di periferie labirintiche e tortuose dove gli individui stanno addossati l’uno all’altro, cozzando di continuo come schegge impazzite alla provincia luogo della desolazione del presente, dell’ozio forzato, della quotidianità inerte, del tempo immobile, vuoto, nel suo scorrere sempre uguale a se stesso, vissuto nell’attesa vana di un riscatto.
Dieci dischi e una ventina di anni sulle spalle che non si avvertono sulla scia di un’inizio arcigno e tagliente: la chitarristica The long way dove il frontman e songwriter Brian Henneman canta “The long way isn't the wrong way‚ and a wrong turn isn't the end‚ if it's understood maybe somethin' good is comin' atcha round the bend” che sembra la direzione di questa gran band, all’adorabile rock impastato di roots di Shame on me, all’indiavolata Nothin' but a driver dove stavolta la disamina del quotidiano riguarda coloro che si trovano a combattere con un lavoro che smorza il cervello e la felicità fino alla splendida Hard Times, più realistica e ottimistica sebbene la vita sembra confinata solo nei conti da pagare (“I’m not broke down, i’m just out of gas”). Da Done it all before in poi mantengono la voglia di ‘provocare’ ma rompono lo schema iniziale e senza azzardare piazzano delle piacevolissime, leggere e accattivanti rock e morbide ballate, sopraffina quella di Open your eyes ma anche Slip away, politica quella di Kid next door, che affronta il tema della guerra non portandoci esattamente al centro di quel caos insensato, ma cercando di distribuire colpe e responsabilità tra le parti in causa.
Il sospetto di un certo cerebralismo la insidia e si teme la maniera, a rischiarare ci pensa il rock tutto riff di The way it used to be che trova poi nella slide di John Horton la strada per la meravigliosa Get on The Bus, verso il Texas tra mandolini e violini, via dai tempi duri, dagli incubi che ci tolgono il respiro. Get on The Bus, Auhhh! Chiudono la ballata Solitare e Give Me Room, con il fascino dei ’70. I The Bottle Rockets mirano all’essenzialità, in Lean Forward bandiscono il superfluo, rispolverano i fasti del passato -poco riconoscente- e i fans ringraziano!