BEN MORRIS & GREAT AMERICAN BOXCAR CHORUS (Underground Railroad)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  01/10/2009
    

Indie-rock e folk che non si curano di ricordarci delle sue origini texane, da College Station, ma non importa più di tanto perchè la voce baritonale che si ritrova Ben Morris si adatta con maggiore aderenza alle notturne e malinconiche ballate elettriche contenute in questo primo lavoro con la the Great American Boxcar Chorus -ma il ragazzo continua a seguire il filo conduttore del suo esordio The Other Side of Broken, sempre indipendente. Come per tanti ragazzi la vita musicale di Ben Morris si è dispiegata come un ventaglio: si nasce niente, si cresce minuscoli -al college a suonare, si ha accesso al mondo girando il Texas seppur esclusivamente con bands tutte birra, divertimento e covers, e nei casi migliori si lascia un’impronta, si cresce e si cambia direzione non solo nel songwriting ma anche nella quiete del suo debutto The Other Side of Broken, un disco interessante perchè il piacere dell’ascolto delle sue canzoni cresce allo stesso passo dell’intera storia che l’album racconta, una sorta di concept senza nessun segnale di mainstream.
Underground Railroad rappresenta un’evoluzione, nella scrittura, anche se si allargano le idee perchè si scrive a sei, otto mani, la penna di Ben Morris sembra sempre di più uno specchio che legge ed assorbe le cose e le emozioni, che va oltre portando all’irruenza la voglia di scroprire e la riversa in una serie di driven-song decise e coinvolgenti: 16 brani che sforano l’ora ma alcune sono introduzioni raccontate ed interpretate da Morris che si traveste da pastore in The Messick's Revelation per presentare la band e Livin' The Dream, rock fluido che crudelmente asseconda la realtà, un evasione che dura il tempo di una canzone e dopo l’l’hybris giunge la caduta nella malinconia tra la rock ballad di Blue Skies, la dolcezza acustica di Sweet Thing e quella del violino della roccata What She Don't Know.
Ma Ben Morris sa quando sgranare la chitarra, sporcare il suono e renderlo traballante, Let You Let Me Be (Loud), forse perchè non si affaccia certo su un mondo stabile dove c’è da preoccuparsi, Care For You, ma anche di darsi una svegliata per cercare di ottenere quel che si vuole, sentire la simpatica scenetta al Big Mike's Pawn dove per una chitarra in vetrina ci sono solo 75 dollars a disposizione e così si inizia a contrattare, in un tira e molla che alla fine serve per spuntare la splendida 75, una driven song tutta riff, molto stradaiola, potente e trascinante.
Gli spunti migliori arrivano non solo al giro di boa se ci aggiungiamo anche il sapore di whiskey e di casa della splendida Headlights, ma Underground Railroad seppur restando un disco molto vario, riesce a coinvolgere sia quando si sviluppa in un corpo come Pretty -dove l’amore tra dubbi e incertezze lascia aperta la strada delle domande e chiusa quelle delle risposte-, nella fisa di Silence & Duct Tape, nel pop-rock di Fine China, alla splendida ballata di Little Bit More fino alla stramberia conclusiva del motivetto di Untitled Pt. VII per non parlare degli 8 minuti finali solo per ringraziare parenti, amici, cantanti di Thank You's.
Un disco pieno di traiettorie, Underground Railroad, ma i vari percorsi disegnati da questo texano atipico sono capaci di restituire quella giusta passione che si chiede ad un songwriter e che fa ben sperare per il futuro.