LEO RONDEAU (Down at the End of the Bar)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  01/10/2009
    

Scenografia texana anni ’70 a guardare la cover di Down at the End of the Bar, Stetson scuro in testa ed il resto è facile immaginarselo, dagli stivaletti da cowboy, una collezione di occhiali da sole sul cruscotto dell’auto e musica country & western dalla radio. Non è la ristampa di un vinile ma il secondo disco (Bangs, Bullets and the Turtle Mountains l’esordio) di un valido countryman che di nome fa Leo Rondeau, nato e cresciuto in North Dakota ma da tempo stabilitosi ad Austin, Tx.
Legato alle tradizioni del country questo giovane e talentuoso songwriter sembra tracciare in modo discreto ma deciso, una linea base di una propria poetica e di un proprio stile che non punta all’originalità (ammesso che un simile aggettivo conservi ancora un proprio senso), ma all’affermazione di un proprio statuto ‘autoriale’, pieno, identificato con la creazione di un mondo poetico del tutto personale avulso dalla realtà. La poesia di Down at the End of the bar scaturisce dall’incontro tra quest’ultima e il mito del country, fedele a Waylon Jennings e alla vecchia guardia tutta malinconia e whiskey, tra scure serenate e ballate strappacuori. E Funziona!
Strumentazione ricca –mandolini, banjo, dobro, violino con l’aggiunta di una sezione fiati che arriva direttamente da New Orleans a sentire Rapture - che si apprezza sin da No Friend To Louisiann affidando poi alla splendida title-track il suo stile “It’s a lonely place that I’ve come across/All the men at the bar in various stages of hair loss/Some covered it up with a cap/Some grew it long in the back…” e partono i flash-back alcolici che riportano in vita l’amore per il country (dove necessario) facendo riaffiorare gli amori frustati, i tradimenti innocui e quelli dolorosi, le fughe vigliacche e i ritorni a testa alta, le cose che avrebbero potuto essere e i motivi per cui non sono state.
Insomma quell’effetto nostalgico calcolato e dirompente che funziona alla grande, con l’aggiunta del piano nelle tenere You Ain't For Me e Blues Came Today, alla pimpante Weary Owls, le rootsy adorabili di She'll Get The Advantage e Rhinestones al banjo della struggente Better Place For You. Un ritratto accurato e psicologicamente abbastanza preciso che non manca di punte ironiche nel lamento di Elephant in This Room, un disco che si segue bene e che non manca di una precisa coerenza stilistica che raggiunge vette altissime nel gioiello border di Had I Know. Down at the End of the Bar è un disco linfatico per la vita, che dice cose che ci mettono di fronte alla nostra completa indisponibilità attuale ad ascoltare del country old-style senza sentirci a disagio, ma Leo Rondeau sa emozionare con la sua musica ed è quello che conta alla fine.