Si sono formati tre anni fa, simpatizzanti del buon rock, del brandy, della jam e del gin (lo scrivono a caratteri cubitali sul loro booklet) dalla lontana Sidney hanno provato con il loro Ep e un disco nel 2007 una scorciatoia nel mercato delle rock n’ roll band, ma si sono incamminati in una strada fin troppo dritta che non li ha portati alla fama mondiale ma ‘solo’ nel circuito delle radio station e dei festival locali, così sono stati obbligati a tornare indietro per lasciare la strada principale, abbandonarla, e rincamminarsi scegliendone un’altra quella di
Free at last, sebbene siano a conoscenza che la fine non è così facile da trovare, perché non c’è inizio e non c’è fine con il rock n’ roll.
Quindi meglio un tributo ad un sano rock che tentare di raccontare qualche cosa di nuovo, certo poi con un nome come
Ooh La La non è che si può pretendere chissà quale novità (meriterebbero solo per questo una stella in meno!) ebbene fin dalla title-track si tira dritto, riff ed echi stoniani, una manciata di brani solidi ma senza prendersi troppo sul serio, si potrebbe chiamare il meccanismo del “lisciare il reale per farselo passare attraverso” rimanendone immuni, insomma dalla parte dell’innocenza e della purezza del rock una serie di piacevoli scorribande chitarristiche, da
Don’t fight the feeling dove l’unica resistenza possibile è quella della passione che diventa follia d’amore, si tratti di una donna, di un ideale o di un uomo.
Non c’e nessuna narrazione stratificata e densa nei testi di
Free at Last, nessuna elaborata ricerca, nessun sentiero tematico oltre all’amore inteso come sentimento universale e quelle di
You gotta move, della bluesy
Lovin hand sanno farsi voler bene perché piene di amicizie, amori, fughe, ripensamenti, ribellioni, ma anche incomunicabilità e disagio che si associano bene alle scariche elettriche di
Free at last ecco allora
I am who i am,
Get on yer knees and pray,
Yeah people e
Tonight only tutte vibranti e salutari, nessun addolcimento non è certo musica per gli amanti dei centri commerciali, sì quelli che pensano sia “l’unico posto per cui valga la pena vivere. Tutto quello che serve e basta per rendere felice un’esistenza”.
Resta
When water turns to wine (titolo grazioso per una canzone) e la nervosissima
Chop the mutha down che chiude una mezz’ora necessaria ad abbattere la ripetitività di tutti i giorni, quella monotonia contro cui tutti dobbiamo combattere e tutti sappiamo come sia difficile farlo.