SLOW ROLLIN LOWS (Erie Street)
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  Recensione del  01/09/2009
    

Waylon Jennings nel lontano 1973 realizzò un album intitolato Honky Tonk Heroes scritto quasi interamente dal maestro Billy Joe Shaver, ebbene in quel disco c’era una bonus track intitolata Slow Rollin Lows. Trentatre anni dopo Pug Johnson e Jeremy Porter hanno formato una band non solo intorno a quella canzone ma anche attorno al suo autore, con la stessa leggerezza mescolata a una paziente coscienza della vita.
Dopo l’interessante ed energico esordio di One of These Days, i texani di Beaumont con la supervisione di un altro grande musicista come Phil Pritchett incidono il secondo disco, Erie Street che a torto o a ragione, è in grado di fare dello spaesamento quotidiano l’occasione per un sorriso che seppur amaro è rivestito dal piacevole rock e roots della tradizione dei fuorilegge texani, gli Slow Rollin Lows affrontano le usure dell’irrequietezza con 15 brani a cui spettano il compito di consolarci dai mali quotidiani, quelli che accompagnano dal risveglio ogni giorno e che non si fanno di certo intimidire da quanto sia alto il volume dello stereo.
Un disco solido forse troppo lungo ma non c’è quella sensazione di voler strafare, la noia è lontana anni luce, ma a volte si sa con la troppa arguzia e la troppa carne al fuoco si rischia di impatanarsi (lo spaesamento a cui si accennava in Let It All Go è forte, fuori sincrono dal resto dell’album) ma non me la sento di condannarli anche perché Erie Street è un’ulteriore passo avanti: l’impervio spazio avventuroso che si respira dalla splendida Redemption è il più autentico fondamento mitografico tracciabile della deriva del mito western oramai accasatosi, dove gli spettri del duello e le ‘borrache’ restano sfocate mentre la musica conquista l’azione.
La band texana l'abbraccia ad ampio raggio passando dalla coralità di Something To Say, dove il rock e la slide sembrano richiamare il clima spensierato alla Jayhawks, alle vibranti Green Eyed Girl e Be Alone energiche e chitarristiche che riescono a insufflare al disco un respiro unitario nei suoi momenti di tensione che le deliziose Crying Clown Blues e Waking Up With Strangers abbandonano un po' alla volta, passando dal consueto registro realistico si immergono nello humour e nel disincanto che fanno tutt'uno con i riff distorti di 'Pug', e con la splendida Hippies, Drunks, And Rednecks sembra quasi di sentire circolare l’aria e la vita delle Texas band che richiamano nel brano (Boxcars, il grande Jackson Taylor).
Quando invece l’atmosfera di sospensione di un passato bellico entra in scena, la notte prende il posto del giorno e l’armonica della suggestiva ballata di Our Brothers aderisce alla concretezza della vita, problemi, gioie e desideri vengono spazzati via dalla pioggia o coperti dalla neve tra chitarre acustiche e mandolini a suggellare un brano incantevole nel ricordo di Alamo, pathos che non si avverte nel piano pop-malinconico di Let It All Go, che sembra appartenere agli Explosions in The Sky, band di Austin ma strumentale, un brano che forse merita più di un’ascolto ma resto dell’idea che sia sull’album sbagliato…
I riff di I Don't Wanna Go Home e il roots di Dead And Gone tengono a debita distanza la tentazione del sentimentalismo sia pure con esiti non sempre convincenti a sentire le strofe di Sad Country Song, ma il finale scoppiettante di This Dream e l’aria di confine di Gypsy Ghost con una jam da incorniciare testimonia la qualità di questi texani che ci hanno abituato sin dall’esordio a piacevoli imprevisti, tirano fuori quel qualcosa e i loro dischi sorprendono come Erie Street, il disco della piena maturità dei Slow Rollin Lows.