TUMBLEDOWN (Tumbledown)
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  Recensione del  01/09/2009
    

Lo spirito è quello goliardico della California che ama il surf e il sole sulla spiaggia, il pop quanto il rock perchè l’importante è far baldoria, e Mike Herrera quelle onde le ha cavalcate nel passato con i punkettari degli MxPx, ma adesso con i Tumbledown la faccenda si fa decisamente 'seria', per modo di dire, denuda i testi colmi di cristianità e si interfaccia al country tutto alcol e schitarrate, incline al rockabilly e al western con Johnny Cash come punto di riferimento. Molto alcolico (pure troppo!), fin dall’apertura della scoppiettante Let’s Drink dove canta “Let’s drink, Let’s drink ‘til we fall down”, perché ai tempi che si fanno sempre più duri bisogna pur pensarci, meglio se in compagnia di una buona birra fresca.
Un brano divertente, riff che mettono allegria e con la splendida Butcher of San Antone si apprezza quel connubio con il paesaggio che amano i fuorilegge, pieno di polvere, luogo ideale per delinquenti e assassini, sorta di ‘stranieri senza nome’, disancantati cowboy che percorrono il territorio urbano con le prospettive del western, nelle strade e nelle notti di San Antone. Un trittico sfrenato che si chiude con Break Out Of History, brano dal tasso etilico ancora alto dove affondano le ingiustizie del quotidiano, per lasciare spazio a brani più introspettivi dove Jack Parker alla chitarra acustica diventa protagonista.
Si smorzano i toni ma figuriamoci se mollano la birra… ma forse in questi casi è comprensibile, si cercano disperatamente vie d’uscita dalle trappole nella piacevole Movin’ On, alla perdita dell’amore di I’m Still Here -più vivace, alle riflessioni sulla vita dell’amabile State Line. Ancora birra che stavolta non fa che aizzare le scazzottate tipiche da saloon e allora il ritmo torna a salire in Came Here to Fight e prosegue nelle trascinanti Secondhand High e Homeward Bound, un pastoso country selvaggio, alla tosta My Sweet Darling Dear prima del tuffo acustico dell’emozionante Son of a Gun, cantata insieme a Jon Snodgrass (ex Drag the river), amara disamina di una persona che guarda a che punto la vita lo abbia condotto.
Un album godibile seppur estremanente breve -meno di mezz’ora, che acquista ulteriori consensi per un paio di ghost track interessanti bagnate dalle sonorità calde del roots: l’armonica di Spotlight, alla celebre e meravigliosa On the Road Again, infarcita stavolta di chitarre acustiche e aria di confine. Tumbledown, resoconto alcolico molto allegro e un po' ‘sgangherato’ che vi terrà compagnia a lungo.