SCOTT H. BIRAM (Somethings Wrong Lost Forever)
Discografia border=Pelle

             

  Recensione del  01/08/2009
    

La relazione tra country e punk, gospel e blues non era mai stata così diretta e lineare in passato perchè mancava quel lato tenero, malinconico e alcolico, sulle quali articolare pulsioni, desideri e paure fondate nell'oggi quotidiano. Something Wrong Lost Forever, terzo disco targato Bloodshot Records registrato interamente e per la prima volta nel suo ‘home studio’, non si discosta dal suo canovaccio, -voce cupa e radiofonica, blues rozzi e sporchi- poichè il passato diviene il pretesto, con il filtro della distanza, per ‘parlare’ del e al presente, ma i demoni che lo circondano sono stavolta anche fonte di ispirazione per ballate struggenti dove si tesse la ragnatela di un sentimento che mescola inevitabilmente al proprio interno un bisogno bruciante, inespresso, di infinita tenerezza mentre le lacrime affondano nella birra.
Nomade solitario, figlio delle highway, chiede aiuto nella stramba telefonata di Hospital Escape e in maniera manifestamente politica, il songwriter texano inizia a scattare istantanee di una società pervasa dall'idolatria del consumo (anche sentimentale), dalla spiritata e deliziosa Time Flies trionfa come al suo solito, lo scintillio malizioso e accattivante dei suoi discorsi in musica, un parlato intessuto di una fitta trama di allusioni e giudizi lapidari, e quando stavolta addolcisce la voce arrivano ballate notturne che non ti aspetti, dalla splendida e elettrica Sinkin' Down dove lascia spazio alla gibson ma anche all’organo, all’incantevole Still Drunk, Still Crazy, Still Blue dove l’eroe malinconico di Biram non cerca il successo o la gratificazione economica, al contrario, insegue un'ideale stoico di felicità ed è disposto a perdere tutto pur di raggiungerlo.
Delta blues e armonica che ti si attacca addosso in Ain't It A Shame, Biram continua a scrivere gran canzoni, più positive di quanto uno potrebbe aspettarsi ascoltando l’indiavolata Judgement Day o la tosta Hard Time e non è certo per il buon whiskey che porta sempre a portata di labbra, ma è come un’opera che sa la pesantezza dell’essere e riesce a renderla con tocco leggero, ascoltare anche la deliziosa Down The Line e soprattutto quella perla di Wildside, ed approverete.
Parte finale a pane, blues e chitarre di I Feel So Good e della torbida The Wishing Well, lasciando la chiusura al gospel sudista di Go Down Ol' Hannah che racchiude quel velo di impalpabile comicità nonostante la gravità apparente delle liriche, ma è nel dna di questo talentuoso songwriter.