BOXMASTERS (Modbilly)  
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  Recensione del  01/08/2009
    

Lontano dalle albe e tramonti Hollywoodiani, dove il cielo e l'aria si illuminano dei toni squillanti del technicolor -ma quegli arancio e quei blu sono un effetto della cappa inquinante che avvolge Los Angeles e dintorni, Billy Bob Thornton ama suonare con i The Boxmasters e continua a riscrivere la collezione storica del rockabilly e dei Sixty con una buona dose di cinismo. Al terzo disco, Modbilly si divide come nel passato tra nuove composizioni e arrangiamenti di canzoni che hanno fatto epoca, gli Stones tra i tanti, e anche se non raggiunge la qualità del disco precedente, Billy Bob ci mette come sempre voce, cuore ed ‘electric hillbilly’ come piace chiamarlo, ed infatti il percorso elettrico dell’iniziale Heartbreakin’ Wreck o i ricordi di infanzia di Two Weeks Notice riprendono i solchi tracciati dal disco precedente. “I like smoke, i Like Women” è l’inizio di Reason for Livin, una via di mezzo, o meglio il compromesso tra la scelta di una vita cosiddetta normale e noiosa o una magica sospensione dall'universo perfettamente programmato della propria esistenza, per una vacanza gioiosa ed effimera, una parentesi di festevole follia che, per il breve e pur intenso spazio di poche ore, consentirà di fuggire l'inappagante monotonia del quotidiano e di sottrarsi alla routine del lavoro e agli impegni familiari che attendono. Splendida o no?
I The Boxmasters ripercorrono romanticherie d'altri tempi (senza nessun imbarazzante spreco di mielosità), country e rock con qualche immersione nel grande paesaggio del selvaggio e incontaminato west, sapientemente ricreato da un suono sobrio ed elegante, caldo e avvolgente dove è facile intravedere inseguimenti e galoppate senza fine, come la deliziosa Hollow Walls tesse nella malinconia di una strumentazione tra mandolini e lap steel o in New Mexico, altra bel giro elettrico-ruspante con un uomo di legge e i fantasmi dei suoi condannati a morte.
Piatto ricco come sempre, dalla scia country di Every king wears a crown più in palla rispetto al rock venato di pop di Turn It Over (spezzato efficacemente dal mandolino in I Don’t Wanna Know), alla spassosa e vivace That’s Why Tammy Has My Car che sembra uscita da una sitcom degli anni ’70 al toccante racconto di Goin’ Home, dove un uomo che sa di andare incontro alla morte non sa –come tutti noi- davvero cosa lo aspetterà. I The Boxmasters si confermano 'metteuren scène' di scrupoloso mestiere, capace di elaborare un disco scorrevole e di densa semplicità come suggella l’accoppiata conclusiva, dalla trascinante You crossed the line alla ballata commovente di I never let you cry.
Il secondo disco di cover vale la pena ascoltarlo, ma inutile soffermarsi su successi più o meno famosi –del tutto soggettivo- ma mi preme segnalare A dime at a time -pura gioia country, Merrimack county che profuma di Texas e la scalpitante Big ole brew più accattivante di As Tears go By dei mitici Stones…