DELTA GENERATORS (Devil in The Rhythm)
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  Recensione del  01/08/2009
    

Il blues, una storia di andate senza ritorni e di ritorni improvvisi, che viaggia nella testa e nel cuore di migliaia di ascoltatori e faranno bene a drizzare le orecchie per questa band di Boston che affonda le radici nel delta del mississippi. Un suono che sembra partito dal dolore di vivere dell’epoca della grande depressione degli anni trenta americani, che emoziona quando le dita leggere di Charlie O’Neal scivolano sulle corde della chitarra e i cuori di chi ascolta non smetteranno di vibrare. Craig Rawding, armonica e voce, il blues lo elettrifica a dovere, lo aggiorna ai tempi del rock e contemporaneamente rilancia il sound di vecchi leoni, dimenticati padri di quella musica nata dal dolore delle piantagioni di cotone.
Così da bravi bluesman sin dall’opening track, la splendida Hand Me Down Blues, iniziano a scorticare le chitarre, la voce si incupisce, le liriche si riempiono di humor nero, consigli fraterni e i loro esiti sono puramente e magistralmente musicali. “You’ve been down so long I don’t remember what I liked about you”, urla a squarciagola Craig per la frustazione di un amico perduto e disorientato, torbide movenze piene di passione e tensione, ma c’è altro, basta ascoltare That Evil che tira dentro Muddy Waters, alla meravigliosa Devil in the Rhythm che mostra l’altro lato del blues, lontano dalle tonalità materiali avvicinandosi alla spiritualità, ai sentimenti terreni (la musica del diavolo, la chiamano) che sconfina in una ricerca di conforto fiancheggiando il gospel e la religione. Armonica in gran spolvero e la deliziosa Bone Orchard Blues ti si appiccica addosso e un bel mucchio selvaggio di squinternati, derelitti, marginali, fanfaroni e voltagabbana contribuiscono a tenere alto il messaggio di Devilin The Rhythm: “Fuggi dalla società come il diavolo fugge dalla croce!”
La voce baritonale di Craig guida All Good Things Must Come to an End e Never Satisfied, altre perle che sguazzano nell’'amarezza di fondo, nel whiskey, tuttavia mitigate da una salutare ironia (dipende dai punti di vista) come traspare anche dalla scanzonata Read My Letter e dalla trascinante Straw Dog Strut che scava nel sottosuolo dei rapporti che contraddistinguono la vita (famigliari, professionali, sociali, sentimentali…) Devilin in the Rhythm è capace di incastrare ieri e oggi attraverso un blues che riempe lo spazio tra la terra e il cielo come le note della triste dolcezza della conclusiva Somebody's Got to Pay Your Bond, ma pieno di speranza.