PAUL THORN (Mission Temple Fireworks Stand)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  26/02/2004
    

Terzo disco in sei anni per Paul Thorn, cantautore originario di Tupelo, Mississippi (come Elvis) e deciso salto di qualità. Figlio di un pastore protestante, Thorn comincia fin da piccolo a cantare nella chiesa di famiglia, cresce a pane e musica (difficile non farlo se sei del Sud), ma all'età di dodici anni comincia anche a prendere lezioni di boxe da suo zio. Paul prende abbastanza sul serio la carriera di boxeur, a tal punto che, nel 1987, si ritrova addirittura a sfidare, in diretta televisiva nazionale, il pluricampione Roberto "mano di pietra" Duran: la sonora sconfitta rimediata lo fa però tornare di corsa al suo primo amore, la musica.
Il colpo di fortuna arriva una sera in cui, esibendosi in un locale di Tupelo, Paul viene notato da un emissario di Miles Copeland, potente manager dell'ambiente rock (fra i suoi protetti, Sting), e da qui alla firma per una major (la A&M) il passo è relativamente breve. Hammer & nail è un bel disco d'esordio, pieno di umori del Sud, ma anche di influenze springsteeniane e dei più classici songwriters americani; non vende granché, e così la A&M lo lascia a piedi: il secondo album "Ain't love strange" esce nel 1999, e, pur essendo un buon disco, si mantiene un gradino sotto il brillante esordio.
Thorn è un cantautore coi fiocchi, ha il gospel e il blues nel sangue, possiede una grande voce, roca ed annerita (alla John Hiatt), e scrive brani classici, densi di umori southern e suonati con passione da un manipolo di ottimi sessionmen. In poche parole, un disco rock con la erre maiuscola, di quelli che si facevano negli anni settanta. Everybody looks good at the starting line è un inizio potente, un boogie molto annerito (siamo in piena Hiatt-zone), con una bella slide nell'ombra ed un energico botta e risposta tra leader e coro.
Avvio tonificante: sembra uscita da Bring the family. Rise up è una densa ballata elettrica, introdotta da un bel riff di chitarra e che prosegue con una melodia classica ma di presa sicura: l'organo hammond le da un gustoso aroma da Muscle Shoais Studios. Downtown Babylon è un ottimo errebi, quasi fosse uscito dalla penna di uno come Dan Penn, ed il ritornello è di quelli che restano in testa per tutto il giorno. La geniale Mission temple fireworks stand mischia rock'n'roll e gospel di chiesa, ed è un piacere ascoltarla; Things left undone è una slow ballad (sempre southern flavour) dalla melodia vincente e feeling grande come una montagna.
Ci troviamo di fronte ad un signor disco, maturo ed adulto: Paul Thorn è un cantautore che non ha paura di nessuno, ha una voce notevole e sa anche come si produce a dovere un disco. La mossa e solare Sister Ruby's house of prayer fa da preludio alla commovente Angel too soon, toccante storia di una bambina morta nel sonno, con una melodia di prim'ordine ed un delicato accompagnamento acustico. Uno dei brani migliori del disco.
L'unica cosa da dimenticare è la copertina.