Quando capita di avere tra le mani un disco che è un tributo ad artisti, celebri o non, resto sempre piuttosto scettico ma nel caso di
Doug Sahm le cose sono andate in modo diverso. Devo dire che parte dell’avvicinamento al fascino di questo disco è partito con le esibizioni live dell’ormai immancabile appuntamento del giovedì all’Antones -serata Americana- durante il South by Southwest. Quest’anno è stata una festa, ben organizzata come sempre, per un paio di ore fondamentali a celebrarlo in compagnia di Jimmy Vaughn, The Gourds, Dave Alvin e tanti altri senza dimenticare il figlio, che assomiglia molto al padre (ma per sua disgrazia, solo nell’aspetto!).
Doug Sahm è un mito, blues e country mischiato al mexican style cresciuti in quel di San Antonio ed etichettati Tex-Mex hanno seguito lungo 52 anni uno dei pilastri della storia musicale texana, che diventa difficile racchiudere in poche righe: definirlo un bambino prodigio pensando a come suonava mandolino, steel guitar e violino diventerebbe riduttivo, a cinque anni ha solcato il palco colui che ha dato vita ai Sir Douglas Quintet, tanti i suoi successi esportati per il mondo, participazioni illustri -i Grateful Dead, l’andirivieni tra Texas e Europa degli anni ’70, gli anni ’80 con il tex-mex dei The Traveling Wilburys, la compagnia di Flaco Jimenez, Meyers e Fender per i The Texas Tornadoes, ed il figlio per una nuova versione della Quintet con un disco R&B prima di morire prematuramente per un attacco di cuore nella sua amata terra mexicana.
Tejano, R&B, Blues, country tutti insieme appassionatamente, a dieci anni dalla sua scomparsa (novembre 2009) un doveroso omaggio quello di
Keep Your Soul e credo raramente si sia riuscito a trovare una giusta alchimia tra i tanti artisti e collaboratori che hanno voluto partecipare al disco. Un mix bello energico con la trascinante e chitarristica
She's About a Mover di Little Willie G.(arcia), allo splendido rock di
Too Little Too Late con un Escovedo in gran forma con quel tocco di texano che abbraccia anche una versione rootsy accattivante di
You Was for Real del chitarrista Greg Dulli, convincente anche Delber McClinton con
Texas Me e Terry Allen con
I'm Not That Kat Anymore fino alla meravigliosa
Dynamyte Woman di Dave Alvin (la versione in compagnia di Sahm figlio sul palco dell’Antone’s è stata davvero una perla, con il pubblico in coro a cantare. Da brividi!)
Alla sezione fiati che da una parte lascia interdetti (il soul dei Los Lobos di
It Didn't Even Bring Me Down non vale come la festaiola
Ta Bueno Compadre (It's OK Friend) di Flaco Jimenez a Why, Why, Why che non mi era piaciuta sul palco e continua a non piacermi. Charlie Sexton invece spinge sull’accelleratore con
You're Doin' It Too Hard e ci avviciniamo al caldo messicano del finale con i The Gourds e l’indimenticabile
Nuevo Laredo -altro brano che dal vivo ha fatto sfraceli, l’incantevole
Adios Mexico con i Texas Tornados e Joe King Carrasco chiudendo con Shawn Sahm e il capolavoro di
Mendocino.
Piccolino, capelli lunghi, una fotocopia del padre che ha reso il coro del ritornello davvero suggestivo, tanto da far calare l’amarezza su tutti coloro che vorrebbero ancora una volta assistere ad un concerto del mitico
Doug Sahm!!