A Long List of Lies se non è un gioiello ci manca davvero poco, si perchè questo rocker di belle speranze del Noth Dakota (dalla nativa Madison in quel di Fargo nel 2004) al secondo disco dimostra appieno di che stoffa è fatto il suo talento cristallino, perché uno che sa come sviscerare l’anima stradaiola e le storie di provincia con una tale passione e genuinità dalle mie parti va portato in palmo di mano. Da Kindred arrivano una serie di bei rock secchi e diretti, con ballate che hanno quell’amore per il country e il blues che
Josh Harty si porta con se dagli esordi (anche se prorpio quest’ultime nel finale vanno a smussare un disco splendido).
Le radio del Minnesota non hanno più eufemismi per decantarne il talento tanto che al Wisconsin State Journal arrivano le palpitazioni quando non vengono citati come i paladini del suo successo mentre Josh Harty canta il testamento di giovani falliti, cuori spezzati e animali notturni che tra bar e whiskey non sanno cosa pensare della vita. Molte frustrazioni e poca ironia, eterni conflitti analizzati e vissuti, liriche profonde che trasmettono le giuste emozioni a riff e rock che sulle strade del Texas sarebbero libere di spaziare perché sotto la giacca Josh porta una t-shirt nera col marchio western e voce e chitarra dell’iniziale
December con la slide che arriva come un treno in lontananza, sembrano proprio arrivare da quelle terre dove si cresce a rock e radici, poi quella voce solida e tanta passione per la strada fa il resto: ecco allora la scoppiettante
Which Way I Go dove si saggia il suo carisma da rocker che sa come usare la melodia alla anti love-song di
Long Time Coming Down, un rock macchiato di roots-blues che andrebbe stampato e incollato sugli specchi delle donne mentre lo stereo la spara a tutto volume, splendida c’è poco da aggiungere.
Entrano in gioco anche i violini ma da una canzone che si intitola
Country Song te li puoi anche aspettare, ma che sia toccante e ben cantata non sempre accade ma
Josh Harty è uno di quei songwriter con le palle che quando decide di scrivere una ballad sa come amalgamare gli ingredienti ed infatti lungo i sentieri dell’amore tira fuori subito dopo l’incantevole
You & I. Ecco la fisa tra il whiskey e le atmosfere rock-bluesy malinconiche della splendida
Empire Bar, altro brano coinvolgente mentre i riff ti entrano sotto pelle rapidamente e non fai a tempo a distrarti perché la struggente
Time te lo impedisce, acustica con solo la fisa ma piena di calore e di vita.
Nel finale non riesce a restare su quelle vette e gli viene qualche capogiro,
Phone Lines e
Home sono troppo monocorde per il suo talento, molto meglio
Overtime e la sinuosa
Where Did I Go Wrong per quello che poteva essere un gioiello (mi ripeto!), ma comunque
Long a List of Lies resta un gran bel disco.