Secondo disco per quelli che una volta si chiamavano Ribbonpigeon (una scelta quanto mai azzeccata che si è trascinata dietro anche parecchia confusione, e l’aver fatto circolare copertine con il vecchio e il nuovo nome non ha aiutato molto!), comunque sempre di alt. country e americana si ‘parla e si suona’ anche nel nuovo corso chiamato
The Only Sons.
Band grintosa che nei 12 brani di
Steel Hearts mastica country e rock, le chitarre sono tirate a lucido e anche senza grosse innovazioni quando l’armonica e il campestre, la lap steel e Kent Eugene Goolsby –chitarra e voce- entrano in gioco il cd dalla piacevole malinconia dell’iniziale
Lay Back Down riequilibra immediatamente la pesantezza del nostro essere con un tocco di leggerezza, perché la vita è cosa troppo seria per parlarne seriamente (come diceva Oscar Wilde) e allora spazio a violini e slide che impazzano nella robusta
Wise Up, i The Only Sons riescono a fissare il malessere del nostro tempo sia col tocco rustico della splendida
Loneliness Is On My Side sia con la dolcezza springsteeniana di
Stranger Here Myself e
Taking Your Time With My Love sia con la sfrenata corsa delle chitarre di
Been Gone,
Drew Blood,
How Much Is Too Much fino alla conclusiva cavalcata di
We Will Get By.
Come il cane delimita il suo territorio orinando sul confine, l'americano lo circoscrive con il calibro della sua 44 Magnum, ed è del tutto orgoglioso di questo fatto,
Hadn't Been That Long,
Troubled One, e
Long Time Coming hanno i colori degli States e tra alt. Country e rock alla Uncle Tupelo e soci i
The Only Sons dignitosamente portano a casa la pagnotta, quindi non resta che alzare il volume.