AUSTIN CUNNINGHAM (Made to Last)
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  Recensione del  05/05/2009
    

La presentazione di Made to Last in versione acustica aveva fatto intendere, un po’ a tutti i presenti di una bella mattinata dello scorso South by Southwest, che Austin Cunningham non ha dimenticato come si scrive una canzone e sebbene la struggente title-track scritta insieme ad Allen Shamblin, è così introspettiva da sembrare davvero la prosecuzione del suo ultimo disco Music in the Money Biz del 2005, il nuovo corso di Austin è legato alla produzione di un certo Dan Baird, che oramai è diventato anche un produttore di tutto rispetto, che dagli studi dove Chris Knight ha inciso Homesick Gipsy si porta dietro l’elettrico e lo mischia alle innate qualità da storyteller che hanno reso Austin Cunningham quel gran songwriter che è dai tempi di un certo Let That Poor Boy Sing.
Basta ascoltare la meravigliosa apertura di This Town on my Nerves per capire che si è allontanato definitivamente da Nashville per ritornare dalle parti di Garland che conosce molto bene, dove aveva lasciato il calore e la musica del Texas nel 1986, un viaggio che si apre sotto i cieli limpidi texani tra riff stradaioli vibranti che squarciano le oscurità di una crisi finanziaria che non promette niente di buono all’orizzonte. Atmosfere dense dove si aggira nella notte Catherine, tra un sound roots di fondo e la telecaster per rincuorarsi quando bisogna stringere i denti e andare avanti. Anima bluesy che entra dalla porta principale nella piacevole Sad Country Song, e quei cowboy portano allegria in un honky tonk bello corposo come Take me Back to Ft. Worth con la giusta dose di violini e con la slide quanto mai disinvolta, perfetta per essere ballato nelle dance hall.
Ecco un’accoppiata di brani che procedono invece dove Chris Knight ha trovato casa da parecchio tempo, hanno quella melodia unica da roots-rocker che le rende splendide nel loro dare giusto peso alle singole parole e poi la voce di Austin Cunningham fa il resto, così prima Go easy on Yourself e poi The Last Great D.J. fanno volare Made to Last e fanno venire sete, quindi una fermata in un bar-room non può mancare: deliziosa quella offerta da Don’t Distract Me (when I’m Drinkin’) un bel country verace e pastoso, il rock e la tequila di una trascinante Rock-n’-roll Tattoo Girl ma anche il piano sbarazzino di Further Down the Road e l’honky nostalgico di My last Tongue-Lashin’ girl valgono il prezzo di entrata.
Made to Last restituisce il tempo perduto perché quando un songwriter che imbraccia la chitarra è capace di regalare una gemma acustica come Recipe for Disaster o un roots incantevole come Try Jesus, allora la vita e l’amore, le lacrime e la gioia che racconta non dovrebbero mai mancare così a lungo. Gran Disco.