FLATLANDERS (Hills and Valleys)
Discografia border=Pelle

  

  Recensione del  04/05/2009
    

Quattro album in trent’anni, il primo dopo una parentesi di un lustro che francamente ha giovato parecchio al terzetto composto da Jimmie Dale Gilmore, Joe Ely e Butch Hancock. I Flatlanders non mi hanno mai particolarmente impressionato, eccetto per le qualità artistiche delle canzoni di Joe Ely, si perdevano per strada nella ricerca obbligata di uno stampo country classico ma troppo datato (principalmente dalla parte di Gilmore) ma dopo l’ascolto di quest’ultimo disco, Hills and Valleys, senza ombra di dubbio lo si può annoverare come il loro miglior disco (e senza nessuna sbavatura! Sarà forse per la produzione di Lloyd Maines??).
Le tre leggende lavorano stavolta in perfetta sintonia e sullo stesso piedistallo, dalla fisa di una ballata sublime come Homeland Refugee le prime avvisaglie col tipico tocco alla Ely a riflettere e a raccontare una storia che continuerà lungo tutto l’album, che parte dalla California, dalla West Coast, per incamminanarsi come un odissea contemporanea tra sogni perduti che finiscono con gli immigrati messicani all’orizzonte “We’re all just migrants on this earth/Returning to the dust from where we came.” Si resta nei pressi del confine e sempre con la magia della fisa che duetta stavolta con Gilmore in una Bordeless Love che è sia romantica che politica proprio quest’ultimo tema che in After the storm va dritto al cuore dell’Americana affrontando l’incompetenza della politica del governo Bush di fronte all’uragano Katrina.
8 le canzoni co-scritte dal trio e cantate insieme lasciando ogni singola traccia di egoismo fuori la porta dello studio di registrazione, le colline e le vallate dei Flatlanders non sono mai state come questa volta il luogo ideale per ritrovare conforto e speranza, dalla splendida Wishing for a Rainbow, al candore di Free the Wind fino al sorriso che portano grazie al calore messicano che Gilmore canta in No Way I’ll Never Need You e nel rock texano trascinante di Gilmore, The Way We Are, due sincere canzoni d’amore senza ambiguità anche se non si sa mai dove il supergruppo voglia andare a parare. Anche Ely non dimentica il rock e si unisce al gruppo con l’allegria di Just About A Time, la rootsy Cry for Freedom e con la sua di canzone, Love’s Own Chains. Butch Hancock con Thank God for the Road tributa un omaggio alla strada, un’atto d’amore alla vita lasciando da parte tutti i clichè che ne comporta.
A chiudere una cover incantevole di un famoso politico/cantautore come Woody Guthrie, Sowing On the Mountain con Jimmie Dale Gilmore mai sentito così in forma (costruisce un arrangiamento da incorniciare tra violini e atmosfere rootsy elettriche) e la gemma di John Ely in There’s Never Been che non poteva mancare. Il disco più convincente dei The Flatlanders.