JEREMY STEDING (Whiskey Songs and Prison Songs)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  04/05/2009
    

La vecchia scuola serve a far crescere i countryman texani che portano avanti la bandiera della musica indipendente alla faccia di chi vede nel country dei paletti inamovibili, quelli affondati nella canzonetta sempliciotta. Con alle spalle la dottrina di Willie Nelson e Johnny Cash ad Austin, Jeremy Steding è approdato con 9 canzoni e un disco elettro-acustico, Whiskey Songs and Prison Songs in perfetta sintonia con le sue esibizioni live nelle nottate texane, proprio come fosse un concerto quando tutto acquista maggior spessore per il contributo del pubblico pagante.
Le sue esibizioni sono iniziate nell’estate del 2007 quando ha messo su una band capace di reggere ritmi vertiginosi da 2-3 spettacoli al giorno tra pub e ristoranti che dalle sue parti crescono come le bionde in California. Nasce così la Jeremy Stending Band of Bastards perchè al country affiancano la passione per i grandi chitarristi del passato, quelli che amano il blues e non abbandonano mai la Telecaster e il Jack Daniels, proprio in suo onore il singolo che ha fatto da apripista a questo disco d’esordio.
Le canzoni alcoliche e le giornate trascorse in gattabuia son piacute alle radio stations e ai fans delle leggende dell’honky tonk, hanno carisma e genuinità ovvero le poche regole che un texano segue sempre e così Steve Stafford alla lead guitar e il vocalist-songwriter Jeremy Steding attaccano con la brezza country malinconica di Bonnie Blue, e se pensiamo al titolo del disco non possono che essere cieli texani e ricordi i primi pensieri, il sound è elettro-acustico, malinconia che sposa perfettamente la causa ma tra piano e violini i riff in lontananza fanno intravedere l’aria guizzante che il jack Daniels porta con se.
Roots vivace di spessore, spazio alla telecaster con una coda molto suggestiva mentre Steding racconta la sua storia, football e tutto il resto passa via con il tempo mentre una sola cosa resta sempre e comunque. Mandolino e sonorità elettro-acustiche avvolgenti da roots-rocker di provincia, sole e racconti di gioventù quelli che restano nel tempo, Auburn è deliziosa, ben suonata e cantata, il ritmo è avvolgente come la saltellante Drivin’ In The Rain, in mezzo alla pioggia squarci illuminanti di chitarra e violino. Good Morning prosegue sulla stessa strada anche se all’acqua e al cielo cupo all’orizzonte si intravede il sole, il songwriting ha una fisionomia precisa e la splendida ballata di The Least That I Could Do sorregge ancora di più il lavoro di Jeremy Steding, la sua malinconia da roots-rocker raggiunge vette davvero intriganti.
Violino che impazza nella scioltezza rootsy di Orange Groves, alla title-track che si infiammia al momento giusto specialmente nelle sue parole, Jeremy prende a cuore gli aspetti cardine della vita, li analizza proprio dal punto di vista di colui che non può più viverli ma solo ricordarli, Life’s A Song riflette su di essi con dolcezza nel suo accorato appello alla vita. La live song The Day to Day, Today in chiusura esprime la gioia di far musica di Jeremy Steding e dei bastardi, non c’e nulla di meglio che un bel country leggero ma ruspante.