TED RUSSELL KAMP (Poor Man’s Paradise)
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  Recensione del  04/05/2009
    

L’ultimo ricordo del bassista Ted Russell Kamp è stato l'abbraccio amorevole a quella furia di Shooter Jennings sotto l’infuocato tendone del passato Austin City Limits, lì rock e country ardente come la temperatura esterna di quel pomeriggio, in quest’ultimo Poor Man’s Paradise invece il tocco da songwriter.
Del lato più rockettaro tutti ne erano a conoscenza anche perché il suo disco d’esordio North South metteve in evidenza il suo amore per gli anni ’70, sorprende invece, ma poi non molto, l’altra faccia di Ted quella più riflessiva, amante delle ballate di pura americana ma con nelle vicinanze l’amico Shooter perché quando entrano in gioco le luci del country sa dosarle a dovere e tra qualche momento introspettivo, piovosi e pregni d’amore, si spinge alla ricerca di nuovi sapori musicali che invece chi conosce il Kamp del periodo prima della band dei Ponticello saprà comprendere, nel lontano 1996 in un disco molto colorito.
Poor Man’s Paradise prende il largo immediatamente, dalla scoppiettante traversata nei ricordi di Just a Yesterday Away, davvero bello questo rock elettro-acustico che va comunque a braccetto con le contaminazioni soul e col piano-slide targato anni’ 70 di Just Go South, alla sezione fiati che entra in gioco nella ballata incantevole di Let the Rain Fall Down dove il vento malinconico di confine ci spinge via, ma trovano spazio anche le riminiscenze blues che solcano la convincente Long Distance Man, nella piacevole Old Folk Blues spingendosi nel soul che arriva dritto dall’Alabama di Never Gonna Do You Wrong.
Si parlava di alcuni momenti introspettivi, ebbene lasciatevi andare alla melodia che tesse la meravigliosa Let Love Do The Rest, una ballata struggente, elettro-acustica, che ti trascina proprio dove la parola amore acquista un senso. Ma i soggetti cambiano spesso, qui si nota la crescita del songwriter rispetto al disco precedente, anche nel ricordo dei texani Townes Van Zandt e Guy Clark, Kamp passa in rassegna il suo umore da folksinger, la tenebrosa Ballad of That Guy illuminata dalla fisa e da giochi alla chitarra acustica che hanno tutto il candore del Lone Star State che si ritrova anche nella slide e nella rootsy ballad di Dixie.
Resta infine il fascino del piano che apre e percorre l’epica e springsteeniana title-track, lì si sposano perfettamente melodia e scrittura, tra “a wild rose that grows in between the railroad lines” si infilano anche le note della conclusiva e affascinante Player Piano. Se Shooter non può farne a meno di Ted Russell Kamp ci sarà un perché?