MARK SELBY (Nine Pound Hammer)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  04/05/2009
    

Ne avevo perso le tracce di Mark Selby dai tempi di Dirt e del suo blues di stampo classico ma non certo i ricordi del suo modo di suonare la chitarra, dello scrivere e del suo amore per il rock. Con piacere ritrovo il chitarrista di Nashville, trasferitosi in Colorado, che insieme alla moglie ha scritto il suo nuovo disco (e che disco!) Nine Pound Hammer: potente, chitarristico, blues e rock che si fondono alla perfezione per una collezione di canzoni che sapranno come togliervi di dosso il logorio della quotidianità.
Lo fa seguendo una strada molto semplice, al diavolo i clichè, certo se c’è da raccontare una storia triste allora si può anche piangere, ma quello che descrive il torbido e incantevole blues-rock di Buck-Fifty & a Flat-Head Ford si mantiene distante dalla realtà che tutti conosciamo battendo altre strade, ovvero quella di un ragazzo che si incammina lungo quella tracciata dal diavolo per provare a vendere la sua anima e diventare un grande chitarrista, percorsi pieni di passione che tutti vorrebbero incrociare quando la vita non offre stimoli sufficienti. Selby non lo si scopre adesso come songwriter, ma Nine Pound Hammer ha un suono molto più coinvolgente, anche tra i componenti della band, tutti sembrano più convinti sin dalla tosta title-track dove c’è tutto il loro credo chitarristico, un armonica bluesy contagiosa e un rock grintoso su cui poggiare le parole.
Niente fronzoli e I Should Know Better va dritta al sodo, riff granitici macchiati di soul metropolitano, voce e suoni di strada ipnotici quelli che solcano in apertura Cold One Closin’ In, rock-blues splendido tutta melodia e i giochi alla chitarra quantomai necessari, Selby canta e suona tutte le chitarre non si risparmia di certo, sentire come si diverte lungo la corrosiva Leveler Reveler o nella dolce e notturna Baby I Do e a quell’ora tarda la compagnia di un buon amico è vitale anche se lo trovi solo nel fondo di una bottiglia, waitsiana è la dolcezza della sublime A Good Friend to the Blues.
John Lee Hooker sembra richiamare Sure Hope In Ain’t a Train, bluesy time e si torna alla grande sulla strade polverose che costeggiano la ferrovia e i suoi sogni e si sa che sulla strada quando si spinge l’acceleratore il rock arioso alla Stones calza a pennello, Dangerous Game quindi è quello che ci vuole per una bella sferzata ad ululare al cielo mentre l’armonica della coriacea I Stole your Love ci accompagna alle battute finali di Nine Pound Hammer. Stesso martello che continua a battere ancora nella potente Tell the Truth lasciando all’incantevole Guitar in the Rain il compito di chiudere con uno slow-bluesy-rock denso di amore, perché alla fine di quello si tratta, amore incondizionato e fedele per il suono delle chitarre.