Trafila nashvilliana per il country singer di Austin,
Josh Owen, inziata nel 2001 a Gatlinburg con i primi showcase che lo hanno portato dritto negli studi laccati del Tennessee per dedicare a tutti i songwriter del posto un intero disco senza trascurare la sua passione per gli studi televisivi, dove è diventato un personaggio di spicco dello show Nashville Star e nel 2005 è arrivato in finale insieme ad altri nove.
Ma siccome è nato in Texas e suo fratello Scott suonava la chitarra per Roger Creager, il ragazzo crescendo non ha dimenticato quando suonava in famiglia la chitarra ispirandosi a Steven Ray Vaughan (anche come strumentista di strada ne ha fatta: sax, banjo, mandolino e basso) e l’incontro con Jack Ingram è stato l’ultimo tassello per portare il giovane songwriter a casa per la produzione di
Runnin’ from the Daylight, texas music, chitarre robuste e quei pochi sprazzi di nashville alla fine si fanno apprezzare. Iniziare con una cover potrebbe sembrare azzardato ma la bella
Give Nothing Away del mattacchione Bobby Bare Jr. (quando masticava roots) serve a rodare la band e a far capire che il disco sarà elettrico e senza smancierie per i suoi fans televisivi, ecco allora il country maschio della title-track, bello tirato come la telecaster e il whiskey che rigirano piacevolmente sui tasti del piano da dance-hall, perché i brani alla fine sono perfetti per portare la gente al centro della pista per ballare e lasciarsi andare come il delizioso solo che fa salire la temperatura e detta il ritmo, la roots-ballad di
Tell Me tra confini agresti e il timbro rock di casa è bella vispa e trascinante un po’ come tutto il resto di
Runnin’ from the Daylight che quando sforna la ballata sentimentale come
I don’t Need You tiene alta la slide e il pathos acquista spessore, bella voce quella di Josh per una splendida e roccata country ballad.
Il ragazzo ci tiene alle sue origini e ingranando la quarta in un country sfrenato come
Native Texas passa in rassegna tutte ciò che rappresenta la sua terra a Las Vegas, New York e così via, non si risparmia e tira dritto con il pastoso roots-rock di una deliziosa
Burn Rubber, qualche pizzico delle sue esperienze passate se le porta dietro nella sempliciotte
Never Get Old e
You’re Out of Sight ma senza far danni mentre in chiusura il ritmo da bar-room di
Won’t Say Any Names e la schitarrata rootsy della splendida
Don’t It Make You Wanna Dance riportano il sole in Texas, perché
Josh Owen è tornato a casa ed intende restarci.