Al terzo lavoro i
Mad Buffalo di Randy Riviere plasmano attorno al loro impegno verso la salvaguardia del mondo, la natura e tutto quello che concerne l’impatto nocivo sull’ambiente, le liriche e la musica di quest’ultimo
Wilderness. L’ispirazione ai Nativi Americani, l’approccio folk usato per passare dalle descrizioni tra passato e tempi recenti sembra avere qualche assonanza con cantautori che hanno fatto della loro battaglia politica e sociale la propria forza compositiva nello sviluppo del loro songwriting, ad esempio Steve Earle, dove l’accostamento alla musica roots è principalmente per porsi domande ma soprattutto per cercare di dare delle risposte.
L’intento è nobile e la cerchia di musicisti tra le partecipazioni illustri è di tutto rispetto come la produzione di Marty Grebb, ma qualcosa non fila per il verso giusto e non bastano le influenze sopra citate per riuscire a riflettere le genuine intenzioni di un artista che usa il folk, l’americana e il rock non sempre allo stesso modo e con gli stessi risultati.
Wilderness è il racconto di storie di persone comuni che la terra d’America non ha mai dimenticato, gli splendidi riff che sprigiona
Ohio in apertura aizzano la fiamma del rock che la voce e l’andamento monocorde di Randy non alimenta abbastanza, ma il brano ha un suo fascino come i violini e il piano della ballad
This World.
Americana e folk si vanno a fondere con sprazzi country,
Little Walk ne è un bell’esempio ha molti più appigli e finalmente Randy canta con maggior partecipazione dando al brano maggior ritmo e scioltezza, ma bisogna ammetterlo che quando c’è bisogno di donare struggente disperazione ai ricordi di tempi passati tutto fila liscio,
Old Kentucky con la sua fisa tra folk e traditional, mandolini e melodia sofferta non ha rivali, splendida slow ballad. Country preso per il collo per
Destination Unknown, il coretto guasta l’armonia ma la slide rincuora e li cancella in fretta, peccato che si ripresentino…
Le ballate sono il piatto forte dei
Mad Buffalo ma anche i loro limiti,
Alkali – Cold Harbor sembra uscire dal lato b dei dischi di Crosby & friends,
All I Really Want è difficile salvarla, l’aurea agreste di
Angry Town cade sui soliti coretti spocchiosi. Decisamente meglio quando un’armonica bluesy e sporca solca
Let’s Get On With It o il piano ballerino di
Rainy Day e il clima rurale di
Three Rivers dove i riff e la voce femminile a supporto mantengono il pathos di fondo fino alla fine.
Pretty Boy che chiude il disco racchiude però un po’ tutti i pregi e i difetti dei Mad Buffalo e di Wilderness, un disco che saltella troppo anche quando non se ne sente il bisogno.