CROBAR CANE (For What It’s Worth)
Discografia border=Pelle

     

  Recensione del  09/04/2009
    

Il nonno involontariamente ha suggerito il nome, non molto adatto ai racconti della piccola Roanoke in Virginia (forse aveva nei ricordi il fascino dell’isola omonima misteriosa e maledetta dove nel XIX secolo fece tappa anche la Guerra di secessione americana), ma in quelle stradine di provincia Adam Rutledge, vocalist e chitarrista, insieme a Jason Weeks ha formato una jam rock band che se col debutto del 2005 aveva smosso le acque, con questo convincente seguito, For What It’s Worth, nuovi orizzonti si aprono per i Crobar Cane.
Lo stridere della telecaster che apre la tosta Angel In My Arms, porta allo scoperto la loro propensione verso lo spirito rock-bluesy a tratti sudista e la voce calda e forte di Adam gioca bene le sue carte, brani corposi come She Don’t Need Anything mostrano tutta la versalità e la propensione a jammare della band, cosa non da poco che unita alla ricerca di una melodia infarcita di echi soul, portano i Crobar Cane alla luce del sole. Poggiano i testi e gli accordi su stili cardini degli anni ’70, refrain e vocalizzi richiamono quel periodo come Peace of Mind che anche a velocità ridotta si muove con leggiadria, soli malinconici e aggraziati lungo sette minuti che lasciano il segno, I Can’t è una veloce e riuscita parentesi bluesy prima di un’altra splendida immersione nel rock morbido, una ballata dotata di una luce particolare che ti avvolge immediatamente, For What It’s Worth, la title-track, ha una melodia vincente, brano splendido che quando lascia spazio alle chitarre rilascia dosi abbondanti di piacere, musicale ovviamente, ma quello che combinano sulle corde dello strumento negli ultimi due minuti è a dir poco meraviglioso. 6 minuti che valgono il disco.
Quando decidono di indurire il suono con Walk Your Line e Shale it Lose, i propositi di sentire rock grintosi e pastosi vengono soddisfatti, dove anche le tastiere sanno come ritagliarsi lo spazio necessario alla sezione ritmica che pesta con estremo vigore, trovando sempre il momento ideale per tirare in freno e confezionare una serie di slow rock pieni di fascino, come gli otto minuti di This Time, altra parentesi jam arricchita dall’entrata dell’orchestra che non mi vede proprio d’accordo, ma funziona lo stesso o nei cinque e passa minuti di That’s Why I’m Here, e la dolcezza dei versi trova picchi intensi nella voce di Adams e nella slide, quando la band non fa la voce grossa. Un disco che regala ancora un rock-bluesy corrosivo come So High per chiudere con la scossa di The Plateau of Rip Hawh, altri otto minuti di goduria. Crobar Cane sanno come confezionare un disco maturo, e ci riescono grazie ad un suono solido e chitarre che jammano con estrema disinvoltura.