EDWIN McCAIN (The Austin Sessions)
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  Recensione del  31/03/2004
    

Originario del South Carolina, Edwin McCain, ha una mezza dozzina di dischi alle spalle e se la cava egregiamente con il songwriting, il problema è un po' l'identità che si deve costruire. Si è costruito gran parte della sua carriera, almeno fin qui, con un sacco di concerti unplugged, ma anche con un paio di hit, adeguatamente patinati.
Questa contraddizione risalta ancora di più in queste Austin Sessions dove Edwin McCain, in compagnia del suo gruppo (tra cui il chitarrista Larry Chaney a cui spetta gran parte del lavoro di arrangiamento) sceglie atmosfere acustiche per dare forma alle sue nuove canzoni e a qualche interpretazione. La scelta unplugged non è una garanzia di qualità assoluta: a volte le Austin Sessions sembrano virare verso le sonorità più leziose di Nashville, ad un passo dall'easy listening e invece verso il finale viene fuori un suono più folkie, più vicino a Steve Earle che a Garth Brooks, per intenderci.
La somma totale è un disco piacevole, che scorre via, con un discreto sound delle chitarre acustiche e qualche bella canzone, ma anche con un ronzio di mainstream nell'aria che lo rende un po' stucchevole. Il meglio viene con Let It Slide (tutte le canzoni che parlano di Elvis sono bellissime), con le intense Wino's Lullaby e Sorry To A Friend, con Ghosts Of Jackson Square (dove sembra di sentire il mood di Lyle Lovett) e soprattutto con No Choice. Però che la canzone più bella di The Austin Sessions sia scritta da qualcun altro (Buddy Mondlock, per la precisione) non è proprio il massimo per uno per cui il songwriting, come dice Edwin McCain, è il cuore del proprio lavoro. Sì, gli sforzi si vedono e Little Girls, scritta con Larry Chaney è divertente e movimentata, ma Go Be Young, I Want It All, Beautiful Day sembrano fatte con il manuale degli hit (un ritornello dopo trenta secondi, un inciso alla seconda strofa, non un difetto nelle armonie, un assolo di chitarra che non dimentichi la melodia e via di questo passo).
Del resto anche la (non eccelsa) versione di Romeo And Juliet (i Dire Straits di Making Movies) che arriva sul finire delle Austin Sessions confessa candidamente la propensione di Edwin McCain a produrre qualcosa che si adatti alle classifiche. Aspirazione legittima, ma tutti i più grandi songwriter l'hanno sempre insegnato: le canzoni esistono già, si tirano giù e basta. Non si inventano, non si costruiscono, non si improvvisano e questo Edwin McCain deve ancora impararlo.